Proporre in tempo di pandemia un Boris Godunov, ossia un’opera di forte impatto teatrale, sia musicalmente che scenicamente, per giunta un’opera che esige una grande orchestra e dove l’onnipresente coro è personaggio, denota coraggio.
L’Opernhaus questo coraggio ce l’ha e apre la nuova stagione con l’opera di Mussorgsky (libretto del compositore da Puskin). Lo fa, adottando misure eccezionali, concernenti sia il pubblico sia orchestra e coro. Il primo occupa 900 dei 1150 posti disponibili, deve portare la mascherina e rinunciare all’aperitivo nelle pause. Parola d’ordine: contact tracing, e alla cassa vengono richiesti i dati personali. Orchestra e coro si trovano «fuori le mura», ossia nelle sale prove della vicina Kreuzplatz, ma il pubblico li ascolta live via cavo in fibra ottica. I musicisti, separati l’uno dall’altro dal plexiglas, si producono sotto la guida di Kirill Karabits. Monitor, altoparlanti e microfoni sono disseminati un po’ dappertutto.
Una soluzione inedita e, circa il suono dell’orchestra, l’interazione con il coro e con i cantanti in palcoscenico, dà risultati al di là di ogni previsione. Meglio che a Verona o a Bregenz. Ciò, grazie ai tecnici del suono e, soprattutto, ad un’intensa Philarmonia Zürich diretta dal Maestro Karabits che dà una lettura lucida e accurata della formidabile partitura. Si è optato per la prima versione del 1869, con l’aggiunta dell’atto polacco, e della scena di Kromy. Buona e incisiva anche la sonorità del coro (Chor der Oper Zürich, Chorzuzüger, SoprAlti der Oper Zürich) preparato da Ernst Raffelsberger. Notevole l’apporto del regista tedesco-australiano Barrie Kosky: bandite le numerose scene di massa, Kosky opta per un’impostazione surrealistica, alla Borges, ma ad un tempo essenziale e molto efficace.
Dappertutto libri che raccontano fatti, storie e la storia; libri che, aprendosi e richiudendosi, parlano davvero. Al pubblico e a uno studente, il quale, insieme a loro, fa quasi da coro, da voce interiore del popolo russo e di tutti i popoli, diventando poi il Folle in Cristo, una sorta di folle scespiriano che vede molto al di là delle cose e del tempo.
La scenografia di Rufus Didwiszus (costumi: Klaus Bruns) asseconda Kosky: una biblioteca labirintica, tutti gli elementi scenografici in oro per l’atto polacco, sui toni del grigio per gli altri, una gigantesca campana che fungerà poi da tomba, dello Zar, dei libri, e di tutte le storie vere o false.
Davvero grandioso Michael Volle, al suo debutto come Boris Godunov. Un baritono, più che un basso-baritono, e certo non un basso. Di forte carisma sin dalla sua entrata in scena, Volle ha una voce splendida; volume e timbro si adattano in modo naturale all’evoluzione del personaggio: possente, monumentale, demoniaco, tiranno, poi tenero, sensibile, fragile, tormentato, delirante. In preda a incubi, ossessioni e allucinazioni, cadrà abbattuto dal peso della colpa e battuto da sé stesso. Volle dimostra qui la sua capacità di immedesimazione, è Boris Godunov, semplicemente.
Insuperabile per mimica e mobilità anche Spencer Lang, onnipresente nel ruolo di studente e poi del folle; alla fine dell’opera, anche vocalmente. Un’altra interpretazione di spessore drammatico è quella di Oksana Volkova, la principessa Marina Mnišek: credibile in ciascuna delle molte sfaccettature del suo ruolo. Grande anche Johannes Martin Kränzle nei panni del gesuita Rangoni, ottimo il piccolo Cajetan Dessloch nel ruolo di Fjodor, il figlio di Boris, e bravi anche Edgaras Montvidas come falso Dimitri, Brindley Sherratt nel ruolo del monaco Pimen e il resto del cast. Applausi generosi per tutti, in particolare per Volle.
Dove e quando
Boris Godunov, Zurigo, Opernhaus. Prossime date: 9, 16, 20 ottobre 2020. www.opernhaus.ch
Un Boris Godunov eccezionale in tutti i sensi
In scena a Zurigo fino al 20 ottobre nel rispetto di tutte le norme di distanziamento
/ 28.09.2020
di Marinella Polli
di Marinella Polli