Rodolphe Lindt, 1855-1909 (lindt-spruengli.com)


Tutto ciò che dobbiamo a Lindt

Un geniale precursore: Rodolphe Lindt, «pioniere» del cioccolato moderno, e l’invenzione che cambiò per sempre la storia dell’arte dolciaria, non solo svizzera
/ 20.12.2021
di Benedicta Froelich

Si sa, nell’immaginario popolare la Svizzera è da sempre identificata con alcune immagini celebri quanto abusate: oltre a cliché quali i precisissimi orologi e gli idilliaci paesaggi di Heidi, vi è infatti un elemento che, forse più di ogni altro, ha consolidato la fama elvetica all’estero – il famoso quanto apprezzato cioccolato svizzero. E se tutti sono a conoscenza dell’importanza che le preziose tavolette «made in Switzerland» rivestono sul mercato mondiale, sono in pochi ad essere consapevoli di cosa esattamente renda il cioccolato svizzero diverso da ogni altro – o, ad esempio, del fatto che negli anni ’30 del 1800, Charles-Amédée Kohler ebbe per primo l’idea di inserire le nocciole nelle tavolette prodotte dalla sua fabbrica di Losanna, mentre il cioccolato al latte per come lo conosciamo oggi venne inventato nel 1875 dall’industriale vodese Daniel Peter, in collaborazione con il collega e vicino Henri Nestlé.

Nel novero di tali successi rossocrociati si colloca l’esperienza della casa Lindt, nome leggendario che ancora oggi domina la scena nazionale – e, soprattutto, del suo fondatore, il quale rivoluzionò letteralmente l’intero universo della produzione cioccolatiera: il giovane rampollo Rodolphe (anche detto Rudolf) Lindt, il quale alla giovane età di 24 anni inventò e brevettò un’invenzione destinata a fare la storia del cioccolato, non solo in Svizzera, ma nel mondo intero. Era la cosiddetta conche («conca»), il cui nome si deve all’analogia con la conchiglia, ispiratrice della forma di un macchinario il cui principio si basa tuttora sull’ottimizzazione del processo di miscelazione degli ingredienti volto a ottenere il prodotto finito – ovvero, il cioccolato fuso dal quale si trarranno poi tavolette e praline.

Del resto, ancor prima di questa geniale intuizione, la vita del giovane Rodolphe era, fin dall’inizio, apparsa come destinata all’arte dolciaria: nato a Berna nel 1855, aveva infatti svolto il proprio apprendistato preso la celebre ditta del già citato Kohler, a Losanna, e da quest’esperienza maturato la volontà di dedicare la propria carriera alla produzione di cioccolato. C’era, però, un problema: il cioccolato dell’epoca era molto diverso da quello a cui siamo oggi abituati – assai più amaro, e spesso ruvido e ricco di impurità e scorie solide. Così, quando, nel 1879, il giovane Lindt si ritrovò proprietario di una sua fabbrica (e relativi, vecchi macchinari) nel quartiere Matte di Berna, si gettò anima e corpo in quella che era divenuta una vera e propria missione.

E poiché la fortuna aiuta gli audaci, non dovette aspettare molto per veder realizzate le proprie ambizioni: la leggenda narra infatti che, come per le migliori scoperte scientifiche, la geniale intuizione ebbe origine da una banale dimenticanza, verificatasi un venerdì sera in cui Rodolphe si sentiva particolarmente frustrato a causa dei propri insuccessi nel creare un prodotto che rispondesse alla sua visione di un cioccolato di alta qualità. Avendo lasciato l’ufficio in preda alla scontentezza, Lindt avrebbe inavvertitamente mancato di spegnere una delle macchine miscelatrici; e al suo ritorno, il lunedì, si rese conto di come, dopo essere rimasto in sospensione per un intero weekend, il cioccolato fosse divenuto molto più appetibile, sia nel gusto sia nell’aspetto – principalmente grazie al fatto che il costante sminuzzamento e l’intensità del calore avevano disciolto i cristalli di cacao, rendendo la miscela più densa, viscosa e meno amara del solito.

Di lì a poco, Lindt brevettò il macchinario destinato a portare il nome di conche, che si presenta tuttora come piuttosto semplice dal punto di vista meccanico, essendo composto da un ingranaggio a ruota e una vasca a orientamento orizzontale, in cui la massa di cacao rimane in costante movimento mentre due rulli (originariamente di granito) creano una frizione continua che ne scalda la miscela; difatti, il segreto sta proprio nella durata (all’epoca, circa 72 ore, a una temperatura media di 78 gradi) della fase di rimescolamento del cioccolato – il quale, nell’arco del processo di conche, si fa via via più fluido, eliminando non solo i grumi dovuti alla consistenza del cacao e dello zucchero, ma anche l’umidità e le impurità, destinate a dissolversi nell’aria (come Lindt avrebbe appurato grazie alla consulenza del fratello farmacista). Soprattutto, grazie anche all’aggiunta del burro di cacao (altra innovazione di Rodolphe), il nuovo cioccolato aveva la peculiarità di sciogliersi letteralmente in bocca, secondo quelli che erano da sempre i desideri del suo crea-tore – il quale lo battezzò infatti chocolat fondant.

L’impatto di questa nuova tecnologia avrebbe fatto sì che le tavolette andassero infine a soppiantare la cioccolata in tazza nelle graduatorie di consumo non solo svizzere, ma della maggior parte dell’emisfero occidentale; e il successo fu tale da rendere impossibile, per Rodolphe Lindt, rimanere al passo con gli ordini provenienti da tutto il mondo. Nel 1899, decise così di vendere l’azienda; ma insieme alla fabbrica, il compratore avrebbe ottenuto anche il segreto del cioccolato Lindt. Non c’è quindi da stupirsi se la ditta zurighese Sprüngli fu disposta a pagare l’equivalente odierno di 100 milioni di franchi per un simile privilegio; in fondo, a tutt’oggi ogni compagnia dolciaria degna di questo nome tiene per sé i dettagli del concaggio, dato che il sapore distintivo e la qualità intrinseca del cioccolato dipendono proprio dalle particolarità del processo impiegato.

Sebbene Rodolphe sia morto prematuramente nel 1909, la sua eredità si è dimostrata senza tempo: ancora oggi, la Lindt-Sprüngli onora la ricetta da lui sviluppata (tuttora in parte segreta), e, come punta di diamante nella nobile arte del cioccolato, continua a essere uno dei simboli più amati e apprezzati dell’eccellenza svizzera all’estero – facendo dell’antico fondatore un vero e proprio precursore, responsabile di uno dei «grandi piaceri» che il mondo moderno riconosca.