Trentaquattro donne e altrettante rose compilano il catalogo valoroso di Serena Dandini uscito per Mondadori che, citando Saffo, parte da un assunto: «Qualcuno io dico, si ricorderà di noi nel futuro».
Speriamo, nel frattempo vi dico che il libro si legge bene, le quattro pagine, o quasi, dedicata ad ogni donna valorosa sono snelle, agili, mentre la scrittura è semplice, quasi parlata, adatta per un ampio pubblico.
Serena Dandini dice chiaramente nella sua prefazione di non avere lo scopo di «fare giustizia dell’amnesia collettiva» che fino ad oggi ha caratterizzato il nostro sapere ma solo darci «un assaggio» di un’epopea sommersa e fornire dei modelli virtuosi alle giovani generazioni a corto di esempi edificanti.
«Il catalogo delle donne valorose» è una buona idea fatta di assaggi ognuno condito con una citazione, un’illustrazione con collage di Andrea Pistacchi e una rosa creata da ibridatori e ibridatrici «che con molta più lungimiranza di storici e accademici hanno deciso di rendere immortali le loro eroine».
Prima di addentrarci nel catalogo un avviso ai naviganti: per donne valorose qui si intendono «donne intraprendenti spesso perseguitate o felicemente controcorrente, che hanno osato ribaltare un destino che stava loro stretto e con passione e coraggio hanno tracciato nuovi sentieri».
Sono donne di ogni epoca e paese, di diversa estrazione sociale e professione, e di ognuna vale la pena leggerne la storia. Molte, devo ammettere, non le conoscevo, sono state una sorpresa e mi hanno appassionata. Personalmente sono rimasta colpita dalle vite di Josephine Bakker, Nelly Blie, Olympe de Gouges, Emma Goldmann, Alice Guy, Wangari Muta Maathai e Sophie Scholl.
Non riuscirò a raccontarvele tutte, ne scelgo due, per le altre dovete leggere il libro.
Josephine Bakker, detta Trumpie, la rosa a lei dedicata è la velvet flame è stata una donna straordinaria per diversi motivi. Nativa del Missouri, di estrazione sociale molto umile, a 13 anni all’insaputa della madre si presenta al Boxer Washington Theater per un provino. Sarà l’inizio dell’ascesa di quella che la stampa europea più tardi chiamerà «la Venere Nera che ha stregato Baudelaire» visto che sceglierà Parigi come città d’adozione prendendo la cittadinanza francese nel 1937. Josephine Bakker, cantante e danzatrice di successo, di origine meticcia afroamericana e amerinda degli Appalachi, era bella, spiritosa, aveva talento, grinta e una grande joie di vivre. Ma anche grande coraggio nel battersi per i diritti della sua gente e per i valori in cui credeva. Durante la Seconda guerra mondiale, approfittando del lasciapassare di cui godeva, trasportava di nascosto, mettendoli tra gli spartiti d’orchestra e le fodere del cappotto, documenti vitali per la resistenza.
Nelly Blie invece è stata la prima giornalista donna a entrare al Pittsburgh Dispatch. Più in generale è stata la prima giornalista investigativa a inaugurare il giornalismo sotto copertura. Il suo vero nome era Elizabeth Cochran e tutto ebbe inizio da una lettera critica che scrisse al giornale sotto pseudonimo. Lonely Orphan Girl, cosi si era firmata, in una lettera dallo stile intelligente e sincero si lamentava per l’editoriale sessista di Erasmus Wilson dal titolo «What Girls Are Good for» (A cosa servono le ragazze). Secondo le donne dovevano rimanere a casa a badare alla famiglia e a fare i mestieri, altro che cercare lavoro. In verità di lettere di protesta al giornale ne arrivarono molte ma quella di Lonely Orphan Girl colpì nel segno anche perché il direttore era convinto che a scriverla fosse stato un uomo.