Tracce dantesche a Lugano

Il 25 marzo si celebra il settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta Dante Alighieri
/ 22.03.2021
di Manuel Rossello

Uno dei modi più affascinanti di leggere la Divina Commedia sarebbe certo quello di intraprendere un Grand Tour che toccasse uno dopo l’altro gli innumerevoli luoghi d’Italia citati nel poema dantesco, iniziando magari dalla colossale Pietra di Bismantova, la cui vista avrebbe ispirato Dante per la descrizione del Purgatorio. Ma a ben vedere qualcosa di simile (un formidabile baedecker della Commedia) è stato ultimamente realizzato per opera di Giulio Ferroni (L’Italia di Dante. Viaggio nel paese della Commedia, La Nave di Teseo, 2020). 

D’altronde chiunque abbia letto le tre cantiche sa quanto sia acuminata la sensibilità geografica di Dante. Non c’è quasi canto, infatti, in cui non si aprano improvvisi, grandiosi squarci sul territorio, spesso sottoforma di similitudini. A settentrione (Milano, nella dizione metafonetica Melano, è menzionata solo incidentalmente) i limiti geografici più prossimi al Ticino della Commedia si possono fissare tra la frastagliata costa ligure («Tra Lerice e Turbia, la più diserta,/la più rotta ruina è una scala» Purg. III), Pavia (per il preciso riferimento alla chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro, che Dante certamente vide, Par. X) e il Lago di Garda («Siede Peschiera, bello e forte arnese/ per fronteggiar Bresciani e Bergamaschi», Inf. XX).

Se non ci sono prove documentali della presenza di Dante a Milano (si sa per esempio che non fu presente a un atto rilevante come l’incoronazione di Arrigo VII a re d’Italia, il 6 gennaio 1311), manca a maggior ragione qualunque indizio di un suo passaggio nelle terre insubriche. 

In attesa dell’emersione di qualche fortuito e improbabile documento che ci smentisca, ci si può tuttavia consolare scoprendo alcune tracce dantesche disseminate a Lugano (ma si potrebbe allargare il raggio a tutto il Ticino). Non si può non iniziare allora citando la centralissima Piazza Dante, per scoprire con sorpresa che un tempo si chiamava «Piazza del liceo e S. Antonio». Il cambio del nome avvenne in piena Belle Epoque, nel 1910. 

L’hotel Dante di Piazza Cioccaro, invece, assunse originariamente il nome di battesimo del gestore dell’annesso ristorante. Più tardi, con un ispirato rebranding la proprietà valorizzò la denominazione acquisendo pure alcune opere prestigiose, come il ciclo di tele dantesche del pittore lucchese Gianfranco Rontani e un busto dantesco di Adelaide Pandiani Maraini.

A Lugano è noto a chiunque un secondo busto bronzeo del ghibellin fuggiasco, pregevole opera di Vincenzo Vela, che scruta (parzialmente oscurato da un anonimo tabellone) professori e allievi nell’atrio del Liceo di viale Cattaneo. L’opera, inserita in una sorta di tabernacolo, venne ivi posta nel 1921 su impulso di Francesco Chiesa, l’allora direttore.

Essendo l’iconografia dantesca forzatamente indiziaria, spesso gli artisti lo hanno tratteggiato con naso grifagno, bocca sdegnosa, volto «in gran dispitto». Un corruccio che intendeva significare il suo sdegno per le sorti dell’Italia. Qui, per quel che si può vedere essendo il busto collocato piuttosto in alto, Vela gli conferisce un’espressione più composta, quasi ieratica. Non sorprende che dal prototipo in gesso realizzato nel 1857 e conservato a Ligornetto venissero realizzate numerosissime fusioni in bronzo e altrettante versioni in marmo (una si trova all’interno del municipio di Lugano): dopo le alterne fortune dei secoli precedenti, dal Romanticismo in poi (per non parlare dell’epoca risorgimentale e durante il fascismo) il culto di Dante non ha più conosciuto crisi. 

Ma a mio parere la traccia dantesca più significativa si trova a Massagno, presso la chiesetta settecentesca della Madonna della Salute. Il frontone è ornato da un’evidente iscrizione. Si tratta di una terzina, sublime, tolta dall’orazione di San Bernardo alla Vergine, dall’ultimo canto del Paradiso: «Donna, sei tanto grande e tanto vali/che qual vuol grazia e a te non ricorre/sua disianza vuol volar sanz’ali». Al di là del significato religioso, davvero un bell’omaggio all’universo femminile. Quando ancora insegnavo alle medie di Besso, talvolta vi portavo i miei alunni e quella terzina gliela facevo mandare a memoria. L’apposizione dei versi, stando alle Note storiche su Massagno di Domenico Robbiani, risulta coeva alla costruzione (1729). 

A voler censire con maggior diligenza gli echi danteschi a Lugano (questo mio articolo dà conto di una campionatura molto parziale, e in ogni caso non sono uno specialista di Dante) sono sicuro che emergerebbero molte altre testimonianze. Solo per fare un esempio minimo: nel cimitero di Gentilino (dove sono custodite le spoglie di Hermann Hesse) si può vedere, subito a sinistra dell’entrata, un bassorilievo raffigurante il professor Martino Giorgetti, morto nel 1915, attorniato da alcuni libri, tra cui le opere di Dante.

Per tornare a Milano, quando ero studente al Collegio Ghislieri di Pavia, un giorno chiesi al professor Angelo Stella un giudizio sul poeta milanese Bonvesin dalla Riva, contemporaneo del ben più celebre fiorentino. La sua risposta mi lasciò interdetto, ma mi rese pure edotto sui rapporti di forza tra i due poeti: «Ah», esclamò l’illustre docente, «se solo Dante non fosse mai nato!»