Tra i maggiori analisti junghiani, Luigi Zoja è un’autorità internazionale nel campo della teoria dell’inconscio che approfondisce il rapporto tra la società e le scelte individuali. Da sempre ha cercato di unire la psicoanalisi al sociale, come in Il Gesto di Ettore, sull’evaporazione della figura paterna e della famiglia tradizionale, La morte del prossimo, o Centauri, Alle radici della violenza maschile. Nella pubblicazione più recente, Nella mente di un terrorista. Conversazione con Omar Bellicini, Zoja ci aiuta a comprendere i motivi che stanno alla radice dell’odierna violenza islamista, mentre nel saggio Paranoia,la follia che fa la storia si esamina la paranoia come disturbo mentale e infezione psichica che percorre da sempre la politica e la storia. Gli abbiamo posto alcune domande.
Come nasce il suo libro sulla paranoia che, pur essendo un saggio, si legge come un romanzo?
Allora abitavo a New York e quindi ho vissuto abbastanza da vicino l’11 settembre. Più dell’11 settembre e del terrorismo delirante, a colpirmi furono quelle che ho chiamato le reazioni del 12 settembre.
In che senso?
Parlo delle reazioni del popolo americano che non aveva mai subito attacchi, e che, tutto sommato, vive nel luogo più sicuro del mondo. L’11 settembre è stato il più terribile attacco terroristico che sia mai esistito nella storia, e da allora gli americani, che sono i più grandi possessori di armi, ne hanno comprate ancora di più, passando dai 200 milioni del 2000 agli attuali 300 milioni. La cosa più pericolosa negli USA è avere un «normale» vicino, come si è visto nella recente sparatoria di un sessantenne incensurato di Las Vegas.
Lei scrive che la paranoia è tra noi, cosa intende per «effetto paranoico»?
Dal 2001 a oggi il terrorismo ha ucciso forse qualche dozzina di americani, mentre la cifra di quelli uccisi da armi private si situa tra i duecento e i trecentomila. Per capire ciò che chiamo effetto paranoico basterebbe un diagramma con le percentuali della distribuzione della popolazione musulmana nei principali paesi dell’Unione europea, e confrontarlo con un altro diagramma con le stime della popolazione: scopriremmo che la cifra è di 4-5 volte maggiore. A volte le nostre paure hanno pochi rapporti con la realtà.
Quali sono le cause?
La nostra fantasia sul nemico più che i nemici veri e propri.
Il suo ultimo libro Nella mente di un terrorista prende in analisi il radicalismo islamico nei suoi aspetti individuali e collettivi. Lei dice che sino agli Anni 80 la psicoanalisi era al centro dei dibattiti sociali, ma oggi ha perso importanza. Perché?
Ha perso importanza, ma non del tutto. Più che ai pazienti io dedico il mio tempo a parlarne in generale, anche perché ritengo che la società sia un paziente spesso gravemente paranoico. Esiste un movimento di junghiani politicamente attivi che dibatte di continuo con l’aiuto di internet. Oggi, e non dico niente di nuovo, i valori della società sono molto più individualisti. Negli Anni 70 le cose erano diverse: si credeva che le idee di Freud e di Marx avrebbero migliorato la condizione dell’uomo.
E ora invece?
Ora c’è il rischio di un altro estremo, e cioè che la psicoanalisi si riduca ad essere una piccola specializzazione medica, mentre in realtà è una critica alla condizione dell’individuo, ma anche della società, dei suoi desideri. La psicanalisi ha perso molto questa sua funzione, un po’ anche a causa dei mezzi di comunicazione. Ciò ci riporta alla paranoia. I mezzi tradizionali perdono terreno: dal libro si passa al computer e dal giornale alla tv, con i suoi contenuti spesso discutibili. Di conseguenza nei giornali si fanno articoli sempre più paranoici: il modo più semplice per rendere i media dei mass-media, cioè mezzi di comunicazione per la massa, è infatti quello di fare articoli brevi ma con dei contenuti che non obblighino a pensare, in cui ci sia sempre un cattivo o un capro espiatorio.
Sempre nel suo Nella mente di un terrorista. Conversazione con Omar Bellicini lei sostiene che manca una riflessione su questi temi da parte della stessa psicoanalisi.
Certamente, e la mia conversazione con Omar (giornalista italo-arabo) è proprio frutto del tentativo di coinvolgere un pubblico più vasto, dandogli informazioni precise, ma con un libro breve e comprensibile.
Secondo lei l’inconscio collettivo sta sempre al confine con la dimensione pubblica: ce lo spiega?La paura del terrorismo ad esempio ha molti elementi irrazionali, l’immagine del nemico è contenuta nell’inconscio collettivo. Per il fatto di essere condivisa da molti essa appare però più accettabile.
Sembra che la terapia psicoanalitica presenti il rischio di rafforzare lo spirito individualistico del paziente a discapito della coscienza sociale. Come uscire da questo intimismo?
La psicanalisi non va rinchiusa nello studio del terapeuta, se ne deve invece fare un dibattito.
Il gesto di Ettore è dedicato all’evaporazione della figura paterna, all’eclissi del padre. Che cosa sostituisce questo vuoto?
Ben poco. O almeno: ben poche figure rassicuranti. Dalla critica al patriarcato, il secolo scorso sperava di ottenere una società più femminile: invece abbiamo una società di maschi spesso più violenti, che ho analizzato nel libro Centauri.
Non crede che viviamo in una società sempre più narcisistica? Lei come giudica questo?
Sempre più individualista e auto-riferita, certo. È un effetto negativo della perdita di valori tradizionali, ma anche dell’eccesso di comunicazione virtuale (che in sé sarebbe cosa buona). Ne ho parlato in La morte del prossimo.