Il corteo che accompagnò la salma di César Franck, morto a Parigi l’8 novembre 1890, dalla Basilica della Sainte-Clotilde dove era stato organista ammirato soprattutto per le sue straordinarie improvvisazioni al cimitero di Montrouge nella parte meridionale del XIV arrondissement di Parigi, era composto da familiari, amici e allievi. Nessuna presenza ministeriale o ufficiale.
Il compositore belga il cui bicentenario della nascita cade quest’anno, fattosi largo come pianista nella Parigi di Balzac, moriva illustre sconosciuto per i salotti delle madame di Proust.
Gli avversari di lunga data come il celebratissimo Camille Saint-Saëns che definiva Franck «quel vecchio orrendo con i favoriti a cotoletta e l’aria da vecchio domestico», non avevano fatto i conti con la devozione degli allievi: 176 fra privatisti ricevuti nella casa di Boulevard Saint-Michel e iscritti alla classe d’organo al Conservatorio (mai gli fu attribuita quella di Composizione). Soprattutto l’affezione tenace dei discepoli maggiori, i compositori Ernest Chausson, Henri Duparc e Vincent d’Indy, contribuì a ribaltare l’oblio in crescente gloria postuma. Apoteosi nel 1904 alla scoperta della statua eretta davanti alla «sua» Sainte-Clotilde. Perfino il clericale e antisemita d’Indy ironizzò sugli eccessi dei discorsi ufficiali: «il Direttore delle Belle Arti in rappresentanza del Ministro, Henry Marcel (che tra l’altro è massone), ha fondato tutto il discorso sulla fede ardente, sull’alto pensiero religioso, sulla figura sublime di Cristo … si sarebbe detto un sermone. Ma il più bello è stato Colonne [celebre direttore d’orchestra francese] che da buon ebreo ha esaltato la fede cristiana e definito Franck un santo».
Il processo di mitizzazione era sfuggito di mano agli zelanti allievi che per quindici anni avevano innalzato un monumento di epiteti al Maestro, descrivendolo come goethiano Pater Seraficus, Grande Incompreso, novello Bach, «Fra’ Angelico dei suoni», così lo definì ancora nel 1935 un altro insigne membro di quella costellazione elitaria di scolari, Pierre de Bréville, nei saggi intitolati I fioretti del Padre Franck.
I franckisti e il loro San Pietro, d’Indy, ammiratori del dilagante Wagner e critici verso l’organizzazione e i programmi vetusti del Conservatorio di Parigi, edificarono il loro sancta sanctorum, l’eccellente Schola Cantorum, votata al culto del gregoriano, del contrappunto e della fuga: motto della scuola: «l’arte non è mestiere, ma insegnamento per elevare lo spirito».
Il primo che non amava quell’immagine di Franck santo patrono dell’arte idealista era il figlio volterriano e agnostico (e manco a dirlo allievo) Georges Franck, che obtorto collo dovette rassegnarsi al Vangelo divulgato dagli apostoli, i quali, forgiata la mono-immagine di Franck-Messia dell’Arte francese dedicatosi alle forme più elevate (l’organo, la musica da camera, la sinfonia), misero tutto il resto della produzione in ombra.
Si esaltarono i meravigliosi Corali e tutti i pezzi organistici in genere, indiscusso vertice assoluto della produzione fine secolo; le perle rare cameristiche, ancor oggi molto eseguite, come la Sonata per pianoforte e violino e il fiammeggiante Quintetto per archi e pianoforte; più l’unicum sinfonico, la ciclica e monumentale Sinfonia in re minore, i molto suggestivi poemi sinfonici (Le Chausseur maudit, Les Eolides, Les Djinnis); le parti angeliche e sinfoniche dell’oratorio Rédemption e quelle mistico-sublimi delle Béatitudes (la figura granghignolesca di Satana e i cori dei peccatori furono censurati con l’impossibilità del Padre Franck di esprimere in qualunque modo il male).
Il riscatto degli importanti tentativi operistici di Franck è dietro l’angolo? L’infaticabile equipe del Palazzetto Bru Zane, il Centro della Musica romantica francese con sede a Venezia, presenterà, oltre a doverosi omaggi sinfonici, cameristi e organistici, l’opera Hulda al Teatro degli Champs-Elysées di Parigi (1 giugno), dopo il rodaggio a Liegi e Namur. L’altro Franck, l’autore drammatico e sensuale che camminava nella stessa terra di miti e leggende nordiche di Wagner (il soggetto, ambientato nell’XI secolo nelle lotte fra paganesimo e cristianesimo, è tratto da Halte Hulda, poema del poeta nazionale norvegese Björnsterne Björnson), attende ancora la sua ora.
Tutta l’opera di Franck è bifronte. Incarna nelle melodie concentrate, nella densità armonica e nell’incessante modulare che infastidiva il giovane Debussy, uditore delle sue lezioni, la contraddizione costante tra classicismo della ragione e segreto romanticismo del cuore.