Dove e quando

Luca Mengoni. Il luogo delle nuvole. Fondazione Museo Mecrì, Minusio. Fino all’8 gennaio 2023. Orari: ma-sa 14.00-17.00, do 10.00-12.00 / 14.00-17.00. www.mecri.ch

Luca Mengoni, Pensieri sotto le nuvole, 2022 (© Pier Maulini, Omegna)
Luca Mengoni, Pensieri sotto le nuvole, 2022 (© Pier Maulini, Omegna)
 

Tra le nuvole, al riparo dalle inquietudini terrene

Fino all’8 gennaio il Museo Mecrì di Minusio ospita la personale di Luca Mengoni, il suo omaggio alle fugaci nubi
/ 19.12.2022
di Alessia Brughera

Lo scrittore francese Victor Hugo le definiva «gli unici uccelli che non dormono mai»: vagabonde, inafferrabili e inconsistenti, le nuvole sono tra gli elementi del creato che più vivono la libertà dello spazio. La mutevolezza del loro aspetto, poi, ne fa la metafora più riuscita dell’esistenza che si trasforma e si dissolve.

L’artista mira a farne effigi dalle profonde implicazioni concettuali, cercando «di farci vedere che l’esistenza delle nuvole, e forse anche la nostra, è un precario e fuggevole affacciarsi sul nulla»

Per la loro fisionomia labile e imprecisa alcuni artisti le hanno considerate un soggetto problematico. Basti citare il Brunelleschi, che nel suo celeberrimo esperimento prospettico le tralascia volutamente, affidando allo specchio il compito di rappresentarle, o il grande Leonardo, che le considerava «corpi senza superfici né contorni» e per questo piuttosto difficili da realizzare. Ripercorrendo però la storia dell’arte troviamo una gran quantità di artisti letteralmente stregati dalle nuvole. C’è stato chi, come Andrea Mantegna, le ha dipinte solide e corpose nascondendo volti nei loro candidi volumi o chi, come i pittori ottocenteschi John Constable e William Turner, sull’onda del Sublime le ha raffigurate cariche di tempesta o intrise della luce arcana del sole, nel tentativo di esplorarle in ogni minimo dettaglio. E c’è stato ancora chi, come René Magritte, le ha rese protagoniste di scenari dalla calma surreale, di mondi onirici dove tutto è possibile o chi, spostandoci in epoca attuale, è diventato un vero e proprio creatore di nuvole, come Berndnaut Smilde, intento a riprodurle con fedeltà all’interno di spazi chiusi.

A trovarle stimolanti per la propria ricerca è anche Luca Mengoni, a cui il Museo Mecrì di Minusio dedica fino ai primi giorni di gennaio una mostra curata da Elio Schenini. «Le nuvole mi interessano molto, mi attrae il loro essere senza forma e senza luogo», afferma l’artista ticinese. Eppure la rassegna si intitola «Il luogo delle nuvole», citazione di un verso di una poesia del 1944 di Meret Oppenheim (altra figura molto affascinata dalle nubi) che ci appare una sorta di provocazione, come se il tentativo di fermare la loro natura errabonda fosse andato a buon fine.

D’altro canto la dimensione del gioco, del contrasto e dell’ambiguità appartiene pienamente all’arte di Mengoni, che da sempre articola la propria cifra stilistica per ossimori sia concettuali sia materiali. L’idea del contrasto e dell’interpretazione equivoca che anima i suoi lavori non è altro che l’espressione della volontà di mostrare nuove prospettive, di creare connessioni inaspettate per indagare più a fondo la realtà.

Davanti a un’opera di Mengoni, e questo accade anche a Minusio, siamo chiamati a decodificare delle tracce attraverso la nostra intuizione e la nostra sensibilità per poter approdare a un senso che vada oltre l’immagine rappresentata o il materiale utilizzato. Pur nella varietà delle tecniche di cui l’artista si avvale – dal disegno all’incisione, dalla pittura alla scultura e all’installazione – il linguaggio di Mengoni ha una sua precisa identità, essenziale e rigoroso nel presentarsi ai nostri occhi ma ricco di sfumature e aperto a molteplici sviluppi di significato. Lo stesso modo in cui l’artista tratta i diversi materiali impiegati, sempre piuttosto semplici, contribuisce a costruire nuovi percorsi di lettura dell’opera: Mengoni esalta le specificità dei supporti esplorandone le reazioni alle sollecitazioni esterne provenienti dal suo intervento così come da quello dell’ambiente.

Altra caratteristica dell’artista è l’affidarsi a un repertorio selezionatissimo di immagini che ritorna con frequenza nei suoi lavori. Si tratta di pochi soggetti che appartengono alla nostra quotidianità, ognuno dei quali è stato attentamente scelto per la sua valenza metaforica. Insieme a scale, alberi o ali di farfalle, ecco comparire nell’universo tematico di Mengoni le nuvole, ora rappresentate in solitudine ora accostate ad altre figure-simbolo al fine di innescare nuove associazioni di senso.

Lungi dal volerle riprodurre fedelmente, l’artista mira piuttosto a farne effigi dalle profonde implicazioni concettuali, cercando «di farci vedere che l’esistenza delle nuvole, e forse anche la nostra, è un precario e fuggevole affacciarsi sul nulla», scrive Schenini nel testo del catalogo che accompagna la mostra.

In un acquarello su carta del 2022 Mengoni decide di raffigurare la nuvola dipingendo i retini cromatici in cui viene scomposta la sua immagine a colori per la stampa in quadricromia: il risultato è una forma che riusciamo a cogliere solo a una certa distanza e che invece si dissipa nell’intreccio dei tratti colorati non appena ci avviciniamo all’opera. Le nubi dell’artista prendono vita anche dall’accostamento di centinaia di pallini e puntini o da una fitta trama di segni ondulati, da un groviglio di linee o da semplici contorni bianchi su sfondi azzurri.

In un lavoro in vetro datato sempre 2022 Mengoni dà ai nembi la forma del dorso di due mani che paiono arrampicarsi faticosamente sulla parete bianca della sala del museo, vicino a loro c’è un lungo tessuto di lino su cui è stata ricamata l’immagine di una scala, a rafforzare l’idea di un’ascesa da conquistare con affanno. In un’altra opera dello stesso anno realizzata con il neon, la parola «nube», avvolta da una luce azzurrognola, è stata rappresentata nel modo in cui la troviamo riportata nei dizionari che ne spiegano la scrittura e la pronuncia corrette, quasi a volerne indagare l’essenza anche attraverso il suo aspetto linguistico.

Di particolare interesse è poi un’installazione costituita da due tavolette di terracotta che recano le impronte dei piedi, due piccoli contenitori di acqua e un dipinto su carta appeso alla parete raffigurante nembi nell’etere limpido. La interpretiamo come un percorso che conduce l’individuo dalla terra al cielo mediante un rito di purificazione. Come se le nuvole, seppur precarie e fugaci al pari dell’esistenza umana, rimanessero, in fondo, una seducente illusione di calma e tranquillità. Un luogo ameno dove trovare una tregua dalle inquietudini terrene.