A volte capita che, come nelle leggende folk di una volta, sia possibile incappare in personaggi che appaiono usciti direttamente da un romanzo d’appendice: individui istrionici, che è spesso impossibile classificare o definire con precisione, se non con il nostalgico termine di «avventurieri» – figure secondo molti d’altri tempi, che a tutt’oggi non hanno, tuttavia, perduto nulla del loro fascino.
Ecco quindi riemergere dalle nebbie del passato un uomo quale Hans Ormund Bringolf (1876-1951), originario di Baden-Baden ma profondamente legato alla Svizzera, Paese al quale ha lasciato in eredità la memoria di una vita a dir poco rocambolesca, decisamente senza eguali nel panorama elvetico. Militare di professione, Hans era stato probabilmente iniziato alla carriera di soldato dal padre Johann, colonnello di cavalleria nell’esercito elvetico; e secondo la pratica dell’epoca, che richiedeva agli aspiranti ufficiali una preparazione culturale di ottimo livello, la sua formazione accademica si svolse attraverso l’intera Europa, fino al diploma in legge a Greifswald.
Ma se la carriera militare era considerata soluzione ideale per un uomo della media-alta borghesia intenzionato a farsi una posizione sociale, è possibile che i continui spostamenti del giovanissimo Hans fossero anche un modo per sfuggire all’atmosfera soffocante di casa Bringolf a Sciaffusa, dove i genitori litigavano senza tregua.
Tuttavia, gli studi del giovane vennero rallentati non solo dalle esercitazioni militari alle quali, come cadetto nell’esercito svizzero, era obbligato a prendere parte, ma anche da distrazioni ed eccessi vari: già prima dei vent’anni di età, Hans era infatti celebre come bon viveur amante del lusso e dei piaceri sensuali, rigorosamente finanziati dall’ingente eredità dal padre, la quale sarebbe stata presto da lui sperperata. Eppure, Bringolf si distingueva anche per il proprio sprezzo del pericolo sul campo di battaglia: dichiarato morto più volte, tra i commilitoni di Zurigo si guadagnò infatti il soprannome di «Tenente benedetto» («Selig») per le sue capacità di sopravvivenza.
Ma fu solo quando un brevissimo matrimonio di convenienza si concluse con uno scandalo per debiti, che la sua vita prese per la prima volta la piega francamente bizzarra che l’avrebbe contraddistinta per molti anni. Del resto, lo stesso Hans avrebbe dichiarato di aver ereditato dal padre una certa, «assoluta amoralità» – un tratto caratteriale che, dato quanto lo aspettava, si sarebbe presto rivelato un vantaggio. Accusato di aver contraffatto assegni, caduto in disgrazia e scacciato dal servizio diplomatico svizzero, dovette fuggire dapprima in Spagna e poi in Messico, prima di rifugiarsi in tre diversi continenti e, nel mentre, entrare nell’esercito americano e lavorare persino come detective nelle Filippine.
Ma il nostro eroe non era fatto per star lontano dai guai: ritrovatosi coinvolto in un colpo di stato in Paraguay, dovette adattarsi all’incognito e a sbarcare il lunario svolgendo i mestieri più umili e anonimi, per poi riconvertirsi alla truffa – stavolta facendosi passare per un diplomatico svizzero dall’altisonante nome di «Baron von Tscharner». Purtroppo per Hans, dopo una fuga nella giungla amazzonica e la cattura da parte delle autorità, il risultato sarebbe stato una permanenza di alcuni anni in prigione, prima a Lima e poi a Heidelberg; anni dei quali, se si eccettua un’apparente conversione al cattolicesimo, quasi nulla si sa.
Nel frattempo, però, si era ormai giunti alla vigilia dell’evento che avrebbe scosso alle fondamenta la società del ventesimo secolo. La medesima, temeraria incoscienza che era valsa a Bringolf il suo nomignolo dei tempi dell’accademia militare sarebbe divenuta la sua salvezza all’interno di uno scenario di guerra spietato come i campi di battaglia della Grande Guerra; e se non sorprende che, a questo punto della sua vita, Hans fosse entrato nella legione straniera (come ogni avventuriero che si rispetti!), fu al seguito di questa divisione che prese parte alla famigerata battaglia della Somme, battendosi con tale valore anche sui campi di battaglia bulgari e serbi da guadagnarsi un nuovo soprannome – «il Leone di Manastir»– e svariate medaglie e titoli, inclusa la Legion d’onore; il che, dopo tanti rovesci di fortuna, costituì infine il grande riscatto della sua vita.
Così, una volta ritiratosi ad Hallau come ospite di una casa di riposo, il senso per gli affari di Bringolf era destinato a fare un’ultima apparizione, stavolta suggerendogli un’idea finalmente priva di ripercussioni disastrose – quella di mettere su carta le esperienze della sua vita in ben due libri: un’autobiografia, datata 1927 (Lebensroman des Leutnant Bringolf Selig), seguita, nel 1942, da un secondo volume, Ein Schweizer Abenteurer in Fremden Diensten; e il fatto che, nel 1932, il primo volume fosse già stato tradotto in inglese a partire dalla sua edizione francese, tradisce un grande interesse per le imprese di quest’eccentrico militare.
Nel 1951, Hans avrebbe terminato il suo percorso terreno, per una volta tanto nei panni di un tranquillo (e stanziario) pensionato in grado di guardarsi indietro con un certo orgoglio: le sue imprese al fronte dimostrano come, lungi dall’essere un semplice millantatore, Bringolf fosse, in realtà, un militare di valore – e nonostante le molte truffe più o meno fallimentari, dettate soprattutto dalle necessità del momento, questo irresistibile scavezzacollo è riuscito a essere contemporaneamente eroe di guerra e carcerato, truffatore e dandy, avventuriero e scrittore. Soprattutto, l’insegnamento forse maggiore che si può trarre dalla vicenda di Hans Ormund Bringolf sta nel fatto che nella storia, proprio come nelle singole vite, non vi sono linee di demarcazione nette tra «bianco» e «nero»: l’intera natura umana non è che un’incredibile, sorprendente collezione di sfumature, costantemente in grado di riservare inaspettate e «romanzesche» rivelazioni anche ai più scettici tra noi.