Sebbene sia difficile spingersi fino al punto di affermare che la delicata arte della compilazione di colonne sonore cinematografiche stia oggi vivendo un momento clou, è fuor di dubbio come la recente invasione di film di successo ambientati nel più recente passato abbia dato origine a esempi di soundtrack particolarmente riuscite, tutte contraddistinte da una scelta ormai confermata come vincente: quella di concentrarsi su musica «vintage» rigorosamente appartenente al periodo in cui la pellicola d’origine è ambientata – in un espediente che, grazie al potere dell’effetto nostalgia, ha garantito a queste raccolte un notevole successo, indipendentemente dall’opera cinematografica a cui si riferiscono.
Di primo acchito, il CD che accompagna l’uscita del biopic I, Tonya, diretto da Craig Gillespie e interpretato dall’eccellente Margot Robbie, potrebbe apparire come appartenente a questa categoria, presentandosi come una sorta di compendio pop-rock dell’epoca in cui i fatti narrati si sono svolti (a cavallo tra i primi anni 80 e i 90): ma in realtà, il criterio qui seguito è ben più raffinato, in quanto ogni brano della colonna sonora accompagna in modo cruciale le diverse scene della pellicola, influenzandone e condizionandone fortemente il carattere. Ne è esempio lampante il pezzo con cui il film si apre – l’irresistibile quanto potente Fair to Love Me, il quale, diversamente dalle altre canzoni presenti nella tracklist, risale appena all’anno scorso: una gradevolissima mistura di R’n’B e sfumature hip-hop che, fin dalle prime scene, imprime nella mente dello spettatore la natura battagliera e intransigente della protagonista.
Il film ripercorre infatti la controversa vicenda della statunitense Tonya Harding, celeberrima pattinatrice sul ghiaccio che, nel 1991, fu la prima ad eseguire in gara una figura complessa come il triplo axel, guadagnandosi il rispetto della comunità sportiva internazionale – rispetto presto spazzato via, insieme alla sua intera carriera, dallo scandalo che la travolse in seguito all’accusa di essere coinvolta nel pestaggio subito dalla rivale Nancy Kerrigan.
Oggi, come per uno strano scherzo del destino, l’ormai quarantasettenne Tonya ha visto l’interesse nella sua figura risvegliato di colpo non solo dall’uscita di questo film, ma anche dalla struggente ballata (dal titolo, appunto, di Tonya Harding) recentemente dedicatale dal connazionale Sufjan Stevens, il quale, restio a giudicare l’eroina della propria giovinezza («Dio solo sa cosa tu sia»), ha sottolineato come per Tonya il successo agonistico rappresentasse il riscatto da un’infanzia orribile e dalla povertà e disagio sociale che l’avevano bollata come «white trash» agli occhi dell’upper class americana.
Un elemento presente con particolare forza anche nel film, grazie ai magistrali brani strumentali appositamente composti come «original score» da Peter Nashel – il quale, sulla scia del maestro Philip Glass, intesse passaggi inquietanti e destabilizzanti, volti a trasmettere l’alternanza di luci e ombre che la figura della Harding incarna: si veda l’ottimo Tonya Suite, in cui una sorta di tango «à la Astor Piazzolla» prende la forma tipica dei pezzi strumentali impiegati dai pattinatori per i cosiddetti «programmi liberi» previsti da ogni competizione agonistica.
Ma la selezione pop-rock che costituisce il fulcro dell’album regala altrettante soddisfazioni: vi si ritrovano intramontabili oldies, tra cui classici degli anni 80 come la ballatona romantica Romeo and Juliet dei Dire Straits, o il nichilistico Gone Daddy Gone, a firma Violent Femmes – entrambi esempi del tipo di brani dallo spirito fortemente «narrativo» privilegiati dalla colonna sonora; o perfino tracce rabbiose e potenti come Free Your Mind, delle indimenticate (e sottovalutate) En Vogue, e l’amaro Shooting Star (Bad Company). Ma I, Tonya propone anche diverse gemme rock risalenti ai «Seventies», quali The Chain, firmata dai Fleetwood Mac, e la popolarissima Goodbye Stranger dei Supertramp – il che dimostra come il potere evocativo abbia infine vinto sull’assoluta fedeltà al contesto temporale del film.
E se dispiace che il CD ometta alcuni dei brani presenti nella pellicola (ad esempio, la versione firmata dai Gun del brano Every 1’s a Winner degli Hot Chocolate, o il travolgente Sleeping Bag degli ZZ Top, fulcro di una cruciale scena di pattinaggio), bisogna dire che non capita spesso di imbattersi in una colonna sonora contraddistinta da una tale efficacia narrativa, evidente fin dall’interdipendenza tra la narrazione filmica e i brani prescelti come suo accompagnamento – in un legame in cui, infine, il concetto stesso di «colonna sonora» viene innalzato da mero sottofondo a elemento fondamentale nel racconto cinematografico; ciò che, in fondo, Wim Wenders aveva già tentato con le sue opere degli anni 90. E la speranza di chi scrive è che, oggi, tale esempio possa essere seguito anche da altri, giovani filmmaker a venire – per farsi, un giorno, prassi.