Bibliografia

Stefano Pivato, Andare per colonie estive, Bologna, il Mulino, 2023.


«Ti mando in Colonia!»

Storia delle colonie estive italiane del Novecento, tra welfare ideologico e architetture ardite
/ 21.08.2023
di Stefano Vassere

«Ti mando in colonia!» è ingiunzione storica implicitamente minacciosa che risuona ancora nelle orecchie dei non più giovani tra noi. E in quelle orecchie di infanzie sanguinose ha un tasso di terrore inferiore forse solo a «Ti mando in collegio!», destinazione equivalente ma qualificata dalla durata indeterminata: anni invece di estati. Per buona pace di quei tempi e dei loro protagonisti, l’abitudine probabilmente oramai esaurita di vacanze collettive in luoghi di villeggiatura solitamente marittima è sostituita oggi da «campi» vari di varia attività: lavoretti di utilità sociale, scuole estive, vivicittà con rientro serale, tutto molto più semplice e sostenibile per i piccoli e ormai perlopiù spensierati villeggianti.

Stefano Pivato è stato professore universitario di storia contemporanea e in questo Andare per colonie ci racconta degli aspetti principali di quella ricorrenza e dei suoi cicli annuali: prima di tutto, il progetto esplicito di un sistematico welfare pubblico in aiuto di un’infanzia che certo non era normale, marcata com’era stata a due riprese da frequenti orfanezze di guerra. Ma poi pure il liberarsi soprattutto nel Ventennio fascista di architetture ardite e di sicura virtù, in occasione della costruzione dal nulla di strutture e edifici di accoglienza, che sulla base di una riconosciuta singolarità oggettiva potevano generare nei piccoli ospiti choc estetici di meraviglia e incredulità. Mariangela, villeggiante alle «Navi» di Cattolica alla fine degli anni Trenta, parla di una immagine «indelebile, stampata nella mia mente dal mio arrivo. Tutto un vetro splendente, una nave circondata dalle piccole barchette». «Un’opera d’arte, meravigliosa in tutto», aggiunge Laura, che allora era stata lì per tre estati.

I complessi che ospitano le colonie sperimentano tecniche coraggiose e materiali prima mai usati, e sono spesso collocati in luoghi arditi, non di rado a pochi metri dal mare. C’è abbondanza di calcestruzzo e vetro, e le forme richiamano simboli del territorio e del regime: navi, aerei, torri e verticalità estreme, fino al disegno, con gli edifici, della M di Mussolini. E non casuali sono anche le intestazioni e le concrete denominazioni dei complessi. Le quali avranno espressioni celebrative del regime in abbondanza, fino alla caduta dello stesso, quando i precedenti omaggi saranno obiettivo di una sistematica cancel culture, nella quale muteranno nome tra le altre la Giovinezza di Pietra Ligure, la Italo Balbo di Marina di Massa, la Costanzo Ciano di Calambrone. All’insegna di un marcato carattere ideologico della pratica delle colonie (è in ballo l’educazione dei ragazzini), il secondo Dopoguerra vivrà una breve stagione di appropriazioni alternate delle gestioni, laiche o religiose, fino a un definitivo assestarsi sull’impronta confessionale, legata direttamente al Vaticano attraverso la sua Pontificia commissione di assistenza.

A fare da contraltare a un piano politico tutto collettivo (sono molto belle le fotografie degli edifici ma anche quelle di diversi ’insiemi’ di bambini), questo libro non dimentica infine la psicologia individuale e gli stati d’animo dei piccoli ospiti, registrandone gli umori negativi alla partenza e positivi al rientro, e verbalizzandone anche le lettere spedite a casa. Sono vistosi alcuni ricordi positivi, come quello della cantante Rita Pavone, che frequentò le colonie Fiat nei primi anni Cinquanta e che pur essendo stata spesso testimone del pianto malinconico di alcune compagne disse di trovarsi «magnificamente in quel tipo di organizzazione». Andare in colonia, esservi «mandati», non è comunque mai piaciuto ai più; nemmeno a Enzo Biagi, piccolo ospite negli anni Trenta: «era come andare soldato: un addio alla casa e alle care abitudini, e avanti in fila per due: bagno, dormire, passeggiata, gabinetto, merenda».