Avrei voluto visitare di persona la IV biennale de l’Art Brut a Losanna, ma, purtroppo, la situazione venutasi a creare con l’emergenza coronavirus mi confina in Lombardia, dove me ne sto fermo in attesa che la tempesta cessi. Questa volta, poi, l’argomento mi era particolarmente vicino. Infatti la Collection ha scelto come tema portante della grande collettiva il teatro: dopo Architectures, Véhicules e Corps ecco quindi che viene il turno di Théâtres, una grande mostra interamente dedicata agli aspetti scenici – in senso ampio – delle opere di alcuni artisti brut o appartenenti alla Collection Neuve Invention.
Col catalogo sulla scrivania, non mi resta quindi che sfogliare le pagine e cercare, con la mente, di pensarmi lì, fra le pareti del bellissimo Château de Beaulieu, dove più volte mi sono recato ad ammirare il lavoro di ostinati emarginati, autodidatti solitari, spesso folli o affetti da patologie psichiche, medium, handicappati geniali o, più semplicemente, anonimi umili in preda al demone della creazione. Ironia della sorte o significato altro, profondo (non dimentichiamo il «io non esisto, non sono qui» del teatro di Carmelo Bene), non poter vedere dal vivo un’esposizione imperniata su un’arte che proprio dal vivo si svolge.
Ciò detto, qualcuno si potrebbe chiedere come il teatro irrompa in un universo che appare, a un primo sguardo, prettamente figurativo, visivo. La risposta sta, forse, nel rovescio della domanda poiché tutto il teatro è – o dovrebbe essere – arte visiva: infatti ogni scena è un grande foglio che, prima di ogni cosa, lascia spazio all’immagine; poi viene il resto. «Plusieurs médias combinés ensemble d’une façon particulière, un espace délimité, un temps (une durée) spécifique, une fiction dramatisée et une convocation des mémoires personnelle et collective du spectateur: je ne connais pas d’autre définition du théâtre», afferma Éric Vautrin nella sua introduzione al volume. «Toutes les oeuvres d’Art Brut, de ce point de vue», continua, «sont théâtrales».
Nelle opere degli artisti coinvolti sono quindi presenti da un lato aspetti di una messa in scena immaginaria, elementi dell’arte drammatica quali personaggi, didascalie, drammaturgie, architetture, dall’altro la dimensione creativa, performativa, di atti pubblici, commessi alla luce del sole.
La celebre Aloïse, ad esempio, «allestisce» a matite colorate una vera e propria opera lirica (aveva una profonda conoscenza, in questo senso) in cui, in modo sognante e simbolico, dà forma agli eventi della propria esistenza interiore. Il conturbante Morton Bartlett anima in gran segreto le perfette, balthusiane bambole da lui costruite immortalandole in pose svariate. La pianista – che mai suonò in pubblico – Berthe Coulon dall’età di settant’anni si dedica alla pittura dipingendo minuziosamente inquietanti platee di folle dagli occhi sbarrati. Gaston Dufour, recluso in un reparto d’ospedale, con figure proteiformi e variopinte rievoca ossessivamente l’immagine di un Pulcinella visto in uno spettacolo di paese.
Ci sono, poi, le performances di Dunya Hirschter e i suoi eccentrici, filamentosi abiti multicolori; i costumi-manifesto a favore di una sessualità libera di Helga Sophia Goetze; le eversive passeggiate di Eijiro Miyama, che agghindato di chincaglierie da mercato delle pulci attraversa quartieri dove i passanti lo guardano increduli; le «parate» simboliche di Vahan Poladian, i cui oggetti e bizzarri indumenti rappresentano una risposta alla «distruzione del popolo armeno».
E questi non sono che alcuni dei tanti artisti in mostra: fra di essi citiamo qui, ancora, i nomi di Guy Brunet, Paul End., Louis-Henri G., Giovanni Battista Podestà, Martial Richoz, Victorien Sardou, Palmerino Sorgente, Ni Tanjung, Adolf Wölfli.
Con Théâtres, la cui curatela è stata affidata a Pascale Jeanneret, la Collection de l’Art Brut propone quindi non solo un particolare punto di vista da cui guardare a una certa espressione, ma, anche, un radicale modo di interrogarsi sulle necessità primarie del gesto teatrale e sulla più autentica potenza di quest’ultimo. Coronavirus permettendo, la mostra sarà aperta al pubblico fino al 20 aprile del 2020. In caso contrario, fate come me e godetevi il (come sempre) bellissimo catalogo.