L’arte contemporanea induce sempre più a rivedere molti dei concetti settoriali che spesso ingabbiano una produzione, categorizzandola in definizioni limitanti. Sulle nuove tecniche in relazione alla società di massa già riflettevano Benjamin e Adorno mentre, qualche anno più tardi, Stockhausen trovava spunti composititivi dalle pennellate di Kandinskij. Pensieri, colori e suoni che hanno rivoluzionato la tradizione ponendo le basi per nuovi scenari. Forma e contenuto sono sempre alla ricerca di nuovi traguardi. Lo sanno bene coloro i quali esplorano nuovi linguaggi nella loro dimensione digitale e multimediale, tra video e fotografia. Fra gli esempi recenti si colloca SYN, opera audiovisiva di Roberto Mucchiut reduce da pochi giorni dal suo debutto nella stanza dell’osservazione al Planetario dell’Ideatorio di Cadro, luogo ideale per la conoscenza ma anche per la scoperta.
SYN è un viaggio immersivo, un invito per il cervello e i sensi ad accogliere stimoli inaspettati, incompleti o ambigui, come osservando un’opera d’arte astratta. Nell’ambito delle neuroscienze vengono studiati come meccanismi che chiamano al coinvolgimento dello spettatore. Mucchiut, all’attivo di diverse esperienze teatrali, ben conosce questi processi. Gli stessi sui quali ha creato un’architettura di sensazioni attraverso meticolose definizioni tecnologiche e lunghi appostamenti audiovisivi.
SYN è un’elegia della natura e degli elementi. Per venti minuti gli spettatori seduti in poltrona, si lasciano guidare dalle immagini e dai suoni come sdraiati sull’erba, fra alberi che vediamo con una visione a 360 gradi, un’immagine schiacciata ai lati come per effetto di un obiettivo fish-eye. La fotografia insegna con le sue metamorfosi e il colore vira sul bianco e nero accompagnato dal respiro accelerato di un time-lapse, battiti di palpebre su note di un pianoforte.
Un minimalismo che dal verde clorofilliano si amalgama in un groviglio terroso fino a diventare uno sciame d’insetti, pigmenti con cui disegnare emozioni o navigare verso una teatralità intima. Pochi minuti per ripensare alla natura, alla sua bellezza e fragilità. E come nell’occhio di un telescopio, dalla sommità di un passo alpino lo sguardo si proietta infine sopra le nuvole mentre si allontana la piccola sfera colorata del nostro pianeta. SYN riprenderà il 17 ottobre a cadenza mensile fino a giugno.
La danza inaugura la 29esima edizione del FIT
Il Festival Internazionale del Teatro è tornato in scena con il debutto di Rame di Lorena Dozio. A conclusione del triennio di residenza al LAC dal quale sono nati spettacoli come Otholites e il solo Dazzle, con Rame la coreografa e danzatrice chiude un ciclo dedicato al visibile e all’invisibile, alla trasformazione, temi che hanno accompagnato la sua ricerca.
Elegante e raffinato, a tratti persino volatile e misterioso, Rame conferma le qualità dell’artista e la sua sensibilità intellettuale con un’ora di sviluppo coreografico dalla dinamica apparentemente semplice ma estremamente elaborata e in un crescendo avvolgente. Fra il barocco musicale di Vivaldi e i suoi richiami elettronici si compongono delicate tessere in un gioco di movimenti in continua costruzione su un grande origami.
Lorena Dozio in scena con Daphne Koutsafti e Ana Christina Velasquez hanno ampiamente meritato i ripetuti applausi del numeroso pubblico presente sul palco del LAC. Il FIT prosegue fino all’11 ottobre.
SYN, stimoli inattesi ed elegia della natura
Entrato nel vivo anche il FIT, che ha proposto Rame di Lorena Dozio
/ 05.10.2020
di Giorgio Thoeni
di Giorgio Thoeni