Sono entrambi pianisti, ma sembra il loro unico punto in comune. Uno è iraniano, nato nella Teheran bombardata di Khomeini, l’altro è italiano; il primo è specialista assoluto e quasi esclusivo di Johann Sebastian Bach, vale a dire il più rigoroso, spirituale e geniale compositore barocco; il secondo è un jazzista. Non vanno d’accordo neppure sul menù del loro primo incontro: «Ero andato a sentire un suo concerto a Roma e i nostri agenti avevano organizzato una cena assieme; ci siamo conosciuti davanti a un piatto fumante di spaghetti all’Amatriciana» racconta Danilo Rea, recentemente ospite al Festival di Sanremo e ora impegnato a incidere un disco con Gino Paoli. «Macché, era una cacio e pepe» lo rimbrotta Ramin Bahrami, ambasciatore mondiale della musica per tastiera del sommo Johann Sebastian.
Eppure tra loro la scintilla artistica s’è accesa subito, e la miccia è stato proprio Bach: hanno inciso un disco di successo in cui Bahrami esegue pagine bachiane e Rea improvvisa lasciandosi ispirare dalle note del tedesco, «suonandole prima, dopo o sopra le originali». E hanno iniziato una lunga tournée che il 21 febbraio ha festeggiato la cinquantesima tappa, al Dal Verme di Milano. «In realtà, pur concependomi come un jazzista puro ho iniziato in un solco tutto classico» spiega Rea «Ho studiato pianoforte a Santa Cecilia (l’istituzione musicale più prestigiosa di Roma) e me la cavavo bene, avrei potuto avere una carriera anche come pianista. Sono passato al jazz perché adoravo improvvisare, ma anche qui a ben vedere mi inserisco in una tradizione classica perché i grandi del passato, dallo stesso Bach a Mozart e Beethoven, erano grandi improvvisatori».
«Già: il primo a riportare sullo spartito tutte le indicazioni agogiche, dinamiche ed espressive fu Beethoven, prima l’interprete era chiamato dal compositore stesso a non fermarsi alla pagina e ad aggiungere, a creare di suo» conferma Bahrami «Io stesso, suonando con Danilo, ho scoperto e personalizzato questa dimensione che negli ultimi due secoli è andata via via sfocandosi nella classica, fino a perdersi del tutto; mi sento più libero, in qualche modo mi prendo anche meno seriamente, nel senso di essere consapevole che la mia è solo una delle versioni possibili, per me magari la più convincente, ma è appunto una semplice opzione che realizza in un certo momento le possibilità offerte dal testo».
Il testo è il punto di partenza ineludibile. Perché abbiano scelto proprio Bach è presto detto: «Perché è il più grande di tutti e perché nella sua musica c’è tutto» scandisce Ramin «C’è il jazz e c’è il rock: nei suoi brani c’è un ritmo impressionante per vitalità e impulso. C’è già Beethoven – se si suona il primo Preludio in do minore del Clavicembalo ben temperato con pedale e affetti romantici vien fuori la Patetica (la Sonata n. 8 di Beethoven, ndr.) e addirittura la breakdance, in certi passaggi capricciosi in cui le mani vorticano sulla tastiera sovrapponendosi. Quindi dalle sue note si può tirar fuori di tutto». E sempre diverso. «Ogni concerto non è mai uguale all’altro: trattandosi di improvvisazioni non posso mai suonare le stesse identiche note, anche se la matrice bachiana si sente. Un conto è suonare all’Umbria Jazz e partire dagli standard (brani fondamentali del repertorio jazzistico, ndr.), un altro è dover dialogare con architetture perfette e rigorosissime».
«Infatti la scelta dei brani originali è andata soprattutto verso pagine non troppo mosse, così che Danilo avesse gli spazi per dire la sua» approfondisce Bahrami. «Se linea e armonia cambiano ogni tre secondi è quasi impossibile, se l’evoluzione del discorso musicale avviene con più respiro Danilo ha più tempo e spazio per sviluppare le note che gli vengono in mente mentre suono. Devo ammettere a questo proposito che la scelta dei brani è stata fatta da Mirko Gratton, che è il nostro responsabile discografico: è stato lui a sottolineare l’importanza di partire da brani non troppo rapidi».
L’aria sulla quarta corda (divenuta la popolare sigla di Quark) segue al Preludio in do maggiore dal Clavicembalo ben temperato, immancabile arriva la meravigliosa Aria da cui Bach trasse le vertiginosi trenta Variazioni Goldberg: «Qui si tocca il Paradiso e non solo con un dito» quasi si commuove Bahrami «è la più bella aria in stile italiano mai scritta, e lui non mise mai piede nel Belpaese, imparò il linguaggio di Vivaldi, Pergolesi e degli operisti semplicemente trascrivendone le opere. Come Picasso nell’arte visiva, Bach si abbeverò a tutte le fonti europee, Inghilterra, Francia, ovviamente Germania, Spagna, e ripropose tutte queste espressioni facendole proprie, portandole al massimo grado di perfezione e dando loro una cifra inconfondibile, la sua. Per questo la sua musica trascende i confini geografici, ma non solo, travalica anche quelli cronologici: quando senti certe sue opere non sai dire se siano state composte trecento anni fa, un secolo addietro, oggi o vengano dal futuro, è la musica più universale che esista».
«Universale non solo come forma artistica ma anche come contenuto spirituale», chiosa Rea, «quando si suona assieme Bach si ha l’impressione che il legame tra esecutori diventi via via più profondo; semplicemente, oltre alla simpatia che è subito sbocciata tra noi, posso dire che dopo ogni concerto io e Ramin ci sentiamo più amici, c’è l’impressione di conoscerci più nell’intimo». Proprio per questo anche il futuro potrebbe essere nel nome di Bach: «Quello prossimo perché ci attendono ancora concerti non solo in Italia, ci spingeremo fino in Cina e Giappone».
Rea anticipa, «Vorremmo preparare qualche altro progetto, ma non necessariamente dedicato a un altro autore: il catalogo di Johann Sebastian è tanto vasto e tanto bello...» L’ultima parola è di Bahrami, sul pubblico: «Uniamo amanti della classica e del jazz, vengono giovani e anziani; però è chiaro che le ammiratrici sono tutte per Danilo: ha vent’anni più di me, ma è nettamente più bello!»