Struggente Ryan Adams

Dopo i guai legali del 2019, la rockstar statunitense pubblica a sorpresa uno degli album rimasti nel cassetto
/ 08.03.2021
di Benedicta Froelich

Il tanto temuto piattume creativo che, a parere dei critici statunitensi, rischiava di sommergere l’ambito rock del nuovo millennio, ha fatto sì che, da una ventina d’anni a questa parte, molti giovani virgulti siano stati salutati come grandi promesse della scena musicale a stelle e striscie – a volte prematuramente. A Ryan Adams, ex frontman della rock band alternativa dei Whiskeytown, è toccata questa sorte: nel giro di pochissimo tempo, il giovane performer, originario del North Carolina, si è infatti conquistato la fama di cantautore sensibile e raffinato, principalmente grazie al grande successo dell’esordio solista Heartbreaker (2000).

Negli anni a seguire, la sua carriera si è snodata rapidamente, seppur tra alti e bassi – passando dal buon riscontro di dischi come Gold (2001) e Ashes & Fire (2011) a scelte bizzarre quali l’album 1989, tributo all’omonimo lavoro di Taylor Swift – fino ad arrivare, nel 2019, allo scandalo: le solite accuse di molestie (in questo caso, psicologiche), che sembrano ormai costituire l’immancabile corredo di ogni celebrità statunitense hanno bloccato per circa un anno l’attività discografica di Adams; almeno fino a quando l’artista non ha deciso di pubblicare questo nuovo Wednesdays, da tempo annunciato ai fan e oggi infine disponibile sul mercato.

E si tratta in effetti di un album riflessivo e intimista, quasi sottotono, soffuso di emozioni delicate quanto profonde: anche se bisogna dire che, fin dalla title track, l’intero CD sembra suonare come una sfacciata combinazione tra due album di culto degli anni 70 quali il dylaniano Blood on the Tracks e il celebre Harvest di Neil Young. Ciò appare particolarmente evidente in brani minimalisti quali Walk in the Dark e So, Anyways – tanto da poter affermare che l’unico tratto davvero personale risiede nel sapore smaccatamente country delle slide guitars di Adams, soprattutto considerando come anche le ballate romantiche I’m Sorry and I Love You e Lost in Time ricalchino da vicino il sound del già citato Neil Young, da sempre vero mentore di Ryan.

Eppure, nonostante la relativa mancanza di originalità riscontrabile lungo l’arco della tracklist, non si può negare la forte carica emotiva di cui ognuno di questi brani è permeato; tanto che Wednesdays si potrebbe davvero definire, secondo un termine molto caro alla critica americana, come un «emotionally charged album». Un aspetto evidente anche nell’insistenza di Adams a indugiare in sonorità acustiche delicate e suadenti, tipicamente country ma anche caratteristiche di un certo soft rock cantautorale (un nome su tutti, l’irlandese Damien Rice, che potrebbe tranquillamente essere l’autore del lento When You Cross Over, qui interpretato da Ryan con particolare grazia, e perfino con l’ausilio di un’armonica ad adornarne il finale). Lo stesso spirito che si ritrova in altri brani fortemente romantici quali gli struggenti Poison & Pain e Lost in Time, amare riflessioni sulla solitudine.

Del resto, il tema portante, il fil rouge che lega tra loro le tracce di Wednesdays, sembra essere quello del rimpianto: un rimpianto costante, lacerante e onnipresente, proprio come un dolore fisico – quel rimpianto che si può provare soltanto davanti alla perdita di una persona amata. Perdita che Adams esplora in tutte le sue possibili sfumature, attingendo a piene mani all’autobiografia (il divorzio dall’ex moglie Mandy Moore e i recenti lutti famigliari): si passa così dalle riflessioni sulla fine di una storia d’amore (Who Is Going to Love Me Now, If Not You), all’addio a qualcuno di passaggio dalla dimensione fisica a quella ultraterrena (il già citato When You Cross Over), fino all’inaccettabile morte di un fratello amato (l’autobiografica e straziante ballata Mamma, dalle sonorità à la John Denver). Così, le uniche tracce in grado di offrire suggestioni meno malinconiche e più uptempo sono la trascinante Birmingham e la vagamente speranzosa Dreaming You Backwards (che non a caso chiude il disco).

Certo, per quanto riuscito, questo Wednesdays tende a confermare quelli che da sempre sono i limiti più evidenti del Ryan Adams solista, i quali si fanno qui particolarmente preponderanti – su tutti, l’eccessivo debito verso il cantautorato angloamericano degli anni 70, e un debole un po’ troppo dichiarato per un timbro vocale che, seppur efficace dal punto di vista del coinvolgimento emotivo, tende a risultare infine ripetitivo (come, del resto, hanno lamentato diversi fan della «vecchia guardia» all’ascolto di questa nuova fatica del loro eroe).

Tuttavia, laddove personalità ed estro creativo appaiono cedere davanti al preponderante «effetto dejà-vu», ecco che a sopperire alla mancanza di sorprese giunge l’evidente dedizione di Ryan nel dipingere semplici, eppure intensi affreschi dell’animo umano, qui analizzato nelle sue più malinconiche sfumature; ed è proprio questo, in fondo, a nobilitare l’album, facendo di Wednesdays un efficace quanto struggente compendio del concetto di perdita e lutto.