Chi era l’uomo del crepuscolo del pianoforte descritto nel bel saggio dimenticato di Beniamino Dal Fabbro, Il crepuscolo del pianoforte? Nientemeno che il leggendario Arturo Benedetti-Michelangeli.
Per il poeta-traduttore e critico musicale bellunese, il suo successo era «frutto di verdetti emessi a suon di battimani da una folla snobistica, sempre pronta a rispecchiarsi e a lodarsi in chi ne impersona l’angusto spirito salottiero.»
Anche nella stroncatura non condivisibile lo stile di Dal Fabbro è superbo, le aggettivazioni da manuale: Benedetti-Michelangeli «mondano e mellifluo carilloneur del beghinaggio pianistico», «prigioniero nel limbo del suo laccato mondo sonoro», “pianola perfetta” che versa un «deliquiescente sciroppo sonoro», creatore di un «paradiso fonico liscio e arrotondato», di una «vellicazione vellutata» che mette Beethoven «sotto una lastra di vetro, come fa l’entomologo con le farfalle morte dalle vaghe ali screziate, e lo contempla, o lo manda a passeggio, tutto attillato e mingherlino, in un giardino froebeliano.» La crociate donchisciottesche di Dal Fabbro non si limitavano al pianoforte, ma si accanivano contro altri fuoriclasse del suo tempo: la bestia nera era Maria Callas che lo denunciò, perdendo, per diffamazione e il maestro Victor De Sabata. Cause che finirono per annullare i non pochi meriti del saggista, con la sua scrittura alata, sostanziata da una vasta cultura specifica e dalla lunga pratica del pianoforte. Anzi, per reazione, gli fu affibbiata la «patente» di Pirandello, quella di jettatore. Così per non chiamarlo con il suo nome, i suoi nemici si riferivano a lui come al «Poeta maledetto». Quando Dal Fabbro passava nei ridotti della Scala, c’era chi faceva le corna o s’infilava le mani nei calzoni. Così fece anche il marito-consorte di Maria Callas, Giambattista Meneghini, ostentando la manovra anti-jettatoria davanti alle madame scaligere: la risposta di Dal Fabbro fu fulminea: «Signor Callas, non si tocchi i Meneghini».
Prima del crespuscolo michelangeliano, il libro descrive meravigliosamente il passaggio dal «fitto e nitido tintinnio con la grazia pungente e corrosiva del suo timbro» del clavicembalo («lo strumento proprio dell’Illuminismo, il secolo che voleva vederci chiaro in ogni cosa») all’orribile rimbombo del pianoforte creato da Bartolomeo Cristofori: si passa da Bach «che sembra scrivere per uno strumento che non esiste» al «tintinnio dei becchi di penna» a Couperin che ci fa sentire «il fruscio delle trine entro le gonne femminili, definite con ermetica galanteria Le barricate misteriose»; da Mozart che ha «il timbro del clavicembalo e gli effetti del pedale del pianoforte […] nelle arti non si sa mai quanto la fantasia creativa abbia determinato i mezzi pratici e in che misura questi stessi mezzi abbiano influito sulla fantasia creativa» a Muzio Clementi, di cui tutti siamo allievi, con i suoi innovativi effetti d’imitazione dell’orchestra (incarna nel pianoforte perfino «l’azione riunita del quartetto d’archi in parti reali e dialogate»).
Un viaggio stupendo che parte dalla prospera borghesia tedesca («ogni vagito era presagio di canto, ogni cucchiaio battuto sull’orlo della scodella promessa di giusta intuizione ritmica »), tocca l’apogeo con Beethoven e Chopin, quando «la cassa d’ebano entra nelle case borghesi e ciascuno poteva dedicarsi alla creazione di mondi fantastici», per declinare quando gli uomini, secondo la definizione di Beethoven, perdono la ragione e il sentimento viva via che acquistano la velocità delle dita. Fra gli interpreti dei suoi tempi elogia Ferruccio Busoni e Alfred Cortot, poi Horowitz, Backhaus e Gieseking, sempre in contrasto con l’incomprensibile uomo del crepuscolo.
Bibliografia
Beniamino Dal Fabbro, Crepuscolo del pianoforte, Pendragon, Bologna, 2022., Pendragon, Bologna, 2022
Stroncature superbe
Da Benedetti-Michelangeli alla Callas, Dal Fabbro non risparmiava nessuno come mostra il volume uscito da Pendragon
/ 21.11.2022
di Giovanni Gavazzeni
di Giovanni Gavazzeni