Roots, Navrée affaire (2021, Studio Canàa Losone)
Uscito nel corso dell’anno, colpisce per la sua grafica che rimanda ovviamente a un’altra band e a un altro stile (ha comunque il merito di averci fatto ricordare Phrenology, e ci mandato a riascoltarlo).
«Questi» Roots (membri del gruppo sono Paolo Gianinazzi al basso, Reto Berra alla chitarra, Nico Monterosso alla batteria e Giacomo Allocco alla voce) sono una band cresciuta alle nostre latitudini e con riferimenti musicali molto diversi dagli «altri» Roots. Nell’EP composto da 5 brani si respira aria rockeggiante. Le canzoni sono molto ben costruite e solide e mostrano un ottimo affiatamento di gruppo. Il suono gradevole è certo merito anche dell’incisione, affidata allo storico Studio Canaa di Mauro Fiero. I brani hanno la misura tipica da playlist radiofonica, non superando i 4 minuti di durata. E infatti sono, da quest’estate, nella rotazione perpetua di Rete Tre RSI.
L’impianto dei brani è proprio il classico «intro-strofa-ritornello-strofa-ritornello-finale». Si avrebbe voglia, viste le doti dei musicisti, di ascoltare brani più liberi, ispirati, oppure, perché no, qualche bella cover. D’altro canto il senso del disco sembra proprio essere quello di un ritorno alle radici della «canzone rock», alla pura e semplice energia musicale così come può veicolarla una band chitarra-basso-batteria-voce dei vecchi tempi.
Dell’EP colpisce la bella impostazione delle chitarre (si ascolti Road to Freedom), presenti e piene di grinta. Il groove c’è e si fa apprezzare, (molto solido e trainante in Bla bla bla), al di là forse di una leggera ripetitività dei brani. Non impressionante la voce, un po’ sovrastata dall’impasto sonoro complessivo. Ma comunque complimenti, bel disco.
T4no, Tango Napoletano (2020, Entourage Contempo Production)
Per chi ha voglia di stimoli musicali di altro spessore, questo progetto è veramente interessante. Il suo filo conduttore è la riscoperta del contributo che alcuni compositori ed esecutori partenopei hanno dato alla tradizione del tango argentino: come si sa, le correnti migratorie di inizio 900 hanno portato molti musicisti a cercare fortuna nelle terre del nuovo continente. Tra loro, personaggi poco conosciuti oggi, ma allora celeberrimi, come Santo Discepolo, Genaro Espósito, Rodolfo Falvo e Francisco Lomuto. In questo album un consolidato trio di esecutrici esperte nel repertorio tangueño – e in particolare nella musica di Piazzolla – composto dalla chitarrista Roberta Roman, dalla violoncellista Michèle Pierre e dalla bandoneonista Marisa Mercadé si affianca a un nutrito gruppo di musicisti italiani, tra cui spicca il vocalist degli Almamegretta, Lucariello, per dare sostanza a una band eterogenea nella strumentazione, ma perfettamente adatta a dar corpo alla contaminazione tra passato e presente. Naturalmente i testi e la voce di Lucariello sono una presenza scenica che si impone sul resto, ma la finezza e la bravura dell’ensemble offre un occasione di ascolto davvero originalissima, e struggente, come può essere l’unione dell’anima napoletana con quella argentina. Si ascolti la versione di Dicitinciello vuje, un brano celeberrimo di Rodolfo Salvo che fu famoso in Argentina: qui viene proposto in un arrangiamento struggente dall’andamento di tango, che gli dà una fisionomia molto affascinante.
Michel Godard, Francesco D’Auria Duo, Amor sospeso (2019, ABeat)
Se Michel Godard, solista di quello strano strumento a fiato che è il serpentone, è molto conosciuto alle nostre latitudini, forse un po’ meno noto è il percussionista Francesco D’Auria, che risiede in Ticino da anni. La vena creativa e improvvisativa di quest’ultimo si è espressa in vari concerti e progetti discografici (Le Sonnet Oublié, sempre con Godard, o Mistery Mine con il trombonista Beppe Caruso) e in varie forme di sperimentazione, ad esempio con la tintinnante percussione metallica dell’hangpan. Il disco Amor sospeso è pieno di echi e richiami ancestrali, grazie alla sonorità del serpentone, per un progetto musicale che di per sé ha una storia curiosa: i due musicisti l’hanno registrato nella chiesa del villaggio valser di Rima, in Valsesia. Il dialogo intimo e sensibile dei due musicisti provoca una suggestione profonda. Nella delicatezza dell’interazione tra Godard e D’Auria si aprono spazi meditativi che saranno certamente apprezzati dagli amanti dell’improvvisazione. Oppure, perché no, questo disco potrebbe essere il perfetto album di Natale, un richiamo alla concentrazione e alla riflessione che accompagnino con armonia nel nuovo anno.