Appena trentenne, Sabrina Maniscalco da Solduno può già vantare un’invidiabile bagaglio di esperienze, maturate in ambiti e zone del mondo diverse. Dopo il Master in Cinematografia conseguito all’Uni di Losanna, comincia a lavorare su diversi set. Sbarca una prima volta in Brasile, a Belo Horizonte, per collaborare alla realizzazione di un documentario su una locale squadra di calcio. Si innamora, felicemente ricambiata, del regista del documentario, il quale la porta con sé alla ricerca di location interessanti per il suo nuovo lavoro. È così che insieme scoprono la città di Unaì e lo Stato di Minas Geris, nel nord ovest brasiliano.
Entrambi sono affascinati da persone e paesaggio e decidono di stabilirsi in quella località, sperduta sì ma ambiente ideale dove accudire i loro sette cani, una vera mandria di mucche, cavalli, oche, conigli e altre bestiole. La curiosità e la voglia di viaggiare per scoprire e conoscere, spingono Sabrina in Senegal, dove realizza un progetto fotografico su scuole e biblioteche che nel 2016 sfocerà in una «personale» a Ginevra e nella pubblicazione di un libro: Dans tes yeux, con il sostegno della prestigiosa Fondazione Sandoz. Nella primavera di quest’anno, infine, Sabrina è per qualche mese a Madrid, dove si perfeziona in fotografia documentaristica.
Ai confini di Minas è il titolo che ha voluto dare alla mostra attualmente aperta al Canvetto Luganese. «Mi interessa la quotidianità delle persone – confessa la fotografa – descrivere le cose semplici della loro vita. Prima però ascolto le loro storie, cerco di entrare in empatia con i miei soggetti prima di riprenderli». La maggior parte della gente, in questo importante centro di produzione agraria, si dedica all’agricoltura e all’allevamento di bestiame. Persone semplici, umili, molto religiose (numerosi i Crocifissi e gli altarini nei suoi scatti) e tuttora legate ai valori tradizionali del sertão brasileiro, appassionati di tauromachia.
«Vivo ai confini del mondo (una fattoria a 250 km dalla capitale Brasilia e a 40 da Unaì, n.d.r.) dove però ritrovo tutto il mondo! Il mio è un viaggio in un Brasile sperduto, poco conosciuto e senza tempo, apparentemente impassibile al contesto globale che lo circonda, come la grave crisi politica e sociale che affligge attualmente questo grande e meraviglioso Paese».
Ha scritto Katja Snozzi: «Col suo modo di lavorare, Sabrina ci mostra da una parte la documentaristica, dall’altra una grande empatia e quindi una fotografia sentimentale. Ha un occhio eccellente per i piccoli dettagli e gli spazi intimi. Lavora e illumina contesti in cui luci, ombre e oscurità rendono tecnicamente interessanti e coraggiosi i suoi scatti. È la sua semplicità che colpisce».