È uno dei film dell’anno e mantiene tutte le promesse alimentate con una gestazione lunga e una lavorazione tormentata. The Irishman di Martin Scorsese, presentato al Festival di New York, poi a Londra e alla Festa di Roma prima di approdare in poche sale e su Neflix dal 27 novembre, è una pellicola che lascia il segno, un punto d’arrivo nella carriera del cineasta italoamericano che alla criminalità organizzata ha dedicato un porzione importante della sua opera, si pensi a Mean Street, Quei bravi ragazzi o Casinò.
La storia stavolta è presa dal saggio di Charles Brandt del 2004 L’irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa, che diventa uno sfaccettato dramma su tre livelli temporali. Protagonista è Frank Sheeran, l’irlandese del titolo (ma anche il Presidente John Kennedy è chiamato così nell’importante parentesi che tratta di mafia e politica), un reduce di guerra ora camionista che entra nell’organizzazione quasi per caso e diventa un membro importante della famiglia Bufalino. All’inizio l’anziano Sheeran riceve in casa di riposo la visita, suggerita da un bel carrello a precedere, di un ospite cui forse raccontare i segreti di una vita criminale, prima di portarseli nella tomba. La porzione centrale mostra il viaggio dell’uomo insieme al boss Russ Bufalino e alle rispettive consorti in auto da Filadelfia a Detroit per partecipare a un matrimonio. Un percorso che richiede un detour per eliminare il potente sindacalista dei trasporti Jimmy Hoffa che si era legato alla mafia ed era caduto in disgrazia e il cui cadavere non fu più ritrovato. Ci sono poi tutti i flashback dei momenti salienti, dalla guerra mondiale in avanti.
Scorsese usa un trio di attori magnifici (Robert De Niro, Joe Pesci e Al Pacino, senza dimenticare Harvey Keitel e Anna Paquin) per interpretare personaggi che restano, utilizzando gli effetti computerizzati per ringiovanire i visi per le scene del passato, anche se l’accorgimento tecnico mostra dei limiti, poiché il movimento dei corpi resta appesantito dall’età. L’imperfezione non distoglie però dalla magia della ricostruzione d’epoca e del ritratto dei personaggi. Un magnifico film di tre ore e mezzo, nel quale il regista si prende tutto il tempo per i dialoghi (scoppiettanti come nel caso del pesce o del ritardo alla riunione, più meditativi e intimi quelli del carcere) e il racconto dilatato, soprattutto nella parte centrale, per concentrare i fuochi d’artificio in una meravigliosa ultima ora. È una meditazione sulla vita, sulla morte, sul destino e sul cinema, un film di sottigliezze e tocchi magici i cui spunti non si esauriscono a una prima visione.
Nell’ambito della rassegna romana è stato presentato in prima mondiale il documentario Moka Noir di Erik Bernasconi, un’indagine non giornalistica ma da detective sulla fine del distretto produttivo del casalingo a Omegna, in Piemonte. Il regista veste i panni di ispettore per capire il destino di aziende molto note come Bialetti, Lagostina, Girmi o Alessi: sette esempi emblematici, «sette sorelle», nate come ditte familiari, cresciute tra gli anni 50 e gli 80, che negli ultimi anni hanno chiuso o sono state costrette a vendere e delocalizzare. Bernasconi incontra ex imprenditori e operai, ma anche sociologi, storici ed economisti alla ricerca di risposte: chi ha ucciso il distretto del casalingo? chi sono i colpevoli? «Incontro solo vittime» osserva sconsolato a un certo punto il regista, mentre un pranzo si conclude concordando che «chi ci ha perso di più sono gli operai e i lavoratori». In un bianco e nero che fa tanto poliziesco, utilizzando anche materiali di repertorio, Bernasconi esplora, forse non risolve il caso, ma fornisce elementi interessanti per capire la crisi della manifattura con l’avvento della globalizzazione.
Coproduzione ticinese, di Amka Film, è One More Jump di Emanuele Gerosa, documentario su due giovani del Gaza Parkour Team. Abdallah è arrivato a Firenze, vive in una casa abbandonata e sogna di partecipare alle competizioni acrobatiche in Europa. Da parte sua, Jehad è rimasto a casa, assiste tra molte difficoltà il padre malato, insegna ai ragazzi e sogna anch’egli di andarsene all’estero. Un film coinvolgente ed emozionante sull’essere giovani a Gaza, sulla speranza e la paura (c’è un’impressionante scena di spari durante un attacco israeliano): bisogna essere spericolati per continuare a coltivare sogni in quella striscia di terra.