(© Masha Mosconi)

Storia della prima direttrice d’orchestra di Francia

A dieci anni dall’uscita in francese, l’editore add pubblica il resoconto intimo e onesto di Claire Gibault
/ 30.05.2022
di Davide Fersini

Claire Gibault non ama parlare. O forse non ama parlare del suo libro. Risponde ad ogni domanda in maniera concisa, asciutta, lapidaria. Il suo rapporto con la parola, del resto, si è interrotto molti anni or sono, quando il padre le chiese di mantenere un piccolo segreto. Era il 1949. Mentre rientravano da una festa di piazza, incontrarono una signora con cui lui scambiò due chiacchiere; dopo averla salutata guardò la figlia negli occhi e sussurrò: «Non dirlo alla mamma!». Per un lungo periodo, quindi, la piccola Claire smise di comunicare del tutto e iniziò ad esprimersi solo attraverso la musica.

Si apre così Direttrice d’orchestra, il libro confessione con cui la Maestra prova a liberarsi di tutti i fantasmi del suo passato. Un racconto duro, scarno, roccioso in cui al trauma iniziale si aggiungono via via le umiliazioni, le sofferenze e le fatiche di una scelta professionale all’epoca inaudita. Questa, infatti, non è la storia edificante e felice del superamento di quel trauma, di come gradualmente Claire abbia ricominciato a parlare e di come si sia infine trasformata in una donna realizzata e consapevole. Piuttosto sembra una dolorosa riflessione sul significato reale della parola «carriera». Un romanzo di de-formazione in cui sopravvivere vuol dire sacrificare, giorno dopo giorno, le migliori parti di sé.

Ed ecco, allora, la signorina Gibault salire con entusiasmo sul podio di un’orchestra studentesca e scoprire, con orrore, che tutti i suoi spietati compagni del corso di direzione si sono radunati nella prima fila. «Da quel momento non avrei mai più messo una gonna in vita mia!» O ancora, eccola, unica donna ai prestigiosi corsi di perfezionamento di Franco Ferrara: «Dopo dieci minuti di direzione, la prima cosa che mi aveva detto il maestro era stata: “Signorina, apra meno le gambe quando dirige!”». E ai pantaloni si aggiunse da allora una lunga giacca nera per obliterare, se possibile, ogni aspetto esteriore della sua femminilità e conformarsi all’unico modello esistente, quello maschile: «Ho rifiutato di essere amabile, ho cancellato ogni pensiero di affascinare».

Gradualmente la musica passa in secondo piano, perché nel mondo dei direttori uomini conta solo il grande repertorio, cui si associano fama, potere e soldi. Di conseguenza a Mademoiselle Gibault vengono offerti i lavori di corvée – «la cucina» – come la musica contemporanea, l’operetta e i progetti per le scuole. Ma lei non demorde, anzi, rilancia! A Lione fonda un Atelier per giovani cantanti lirici e diventa l’assistente di John Eliott Gardiner, al quale oggi, tuttavia, dedica pensieri al vetriolo: «Aveva un ego ingombrante. Immaginava che ci fosse una congiura contro di lui per privarlo di chissà quale potere. Doveva essere l’unica star; non sopportava che nel cast ci fossero cantanti più famosi di lui. Era un uomo insicuro». Poi, però, nel 1983, per puro caso – «mais le cas, c’est Dieu» – incontra Claudio Abbado, direttore «gentile e umile», che le chiede di assisterlo nella preparazione della celebre produzione del Pelleas et Melisande di Debussy alla Scala.

Il lavoro serrato e fecondo di quei mesi ha un effetto catartico su Madame Gibault; la aiuta a riconciliarsi con la musica e in parte anche con la propria umanità. «Non volevo più essere condannata al successo per esistere. In modo ancora confuso, sentivo di voler cominciare un’altra vita. Il successo nel dirigere un’orchestra, come in molti altri lavori ha un prezzo altissimo. Bisogna rimanere sulla breccia, sempre al massimo della forma e performanti, passare in continuazione sui media, coltivare in qualche modo la popolarità, pur non essendone ossessionati, perché è indispensabile per la carriera».

Tutto questo non fa più per lei. Come al termine di un riuscito percorso psicoanalitico, l’armatura si sgretola e Claire torna progressivamente a dialogare coi sembianti rimossi del suo desiderio. Adotta due bambini – «I miei figli mi hanno salvato tanto quanto io ho salvato loro» – si converte alla religione ortodossa – «una strada diversa dall’arte per avvicinarsi all’assoluto» – ed entra con successo in politica, paladina di una missione scomoda – «per tutti i miei cinque anni al parlamento europeo, mi sono occupata dello statuto sociale degli artisti».

Quando finalmente ritorna alla musica, lo fa in maniera determinata. Nel 2011 fonda la Paris Mozart Orchestra e si impegna a rispettare i principi di una Carta dei musicisti modellata sul concetto dell’autorità condivisa. «Non avevo intenzione di riprodurre le discriminazioni che avevo incontrato durante la mia carriera di direttrice e volevo ancora una volta esprimere tutta la mia passione per la musica». Per dieci anni costruisce programmi musicali incentrati sull’impegno sociale, in cui il successo, seppur enorme, viene «continuamente subordinato al confronto con la povertà, la miseria, la solitudine, la sofferenza e la paura».

Ma un tarlo continua a tormentare Claire Gibault, i numeri: «Nel 2020 esistevano nel mondo 778 orchestre sinfoniche permanenti, di cui solo 46 dirette da una donna, ossia il 5,9 %. Occorreva porre rimedio. Urgentemente!» Insieme ad un tenace e combattivo gruppo di amiche, dà vita a La maestra, laboratorio di specializzazione indirizzato esclusivamente a giovani direttrici d’orchestra, cui si associa un concorso che l’anno prossimo giungerà alla terza edizione.

«La dittatura è finita. Il frac è fuori moda. E la bacchetta? La discussione è ancora aperta».

Bibliografia

Claire Gibault, Direttrice d’orchestra. La mia musica, la mia vita, add editore, Torino, 2022