È stato pubblicato in Francia lo scorso marzo (ha venduto più di centoventimila copie in un mese), il libro destinato a far discutere i Francesi ancora per molto, è: Nel Paese degli altri di Leila Slimani, trentanovenne franco-marocchina diventata in pochi anni una «penna da bestseller» e una voce originale della società multiculturale parigina, apprezzata anche in Marocco.
Premio Mamounian nel 2006 con Il giardino dell’orco; premio Goncourt nel 2016 con Ninna Nanna, Leila Slimani, il cuore schierato dalla parte delle donne e lo sguardo penetrante posato sull’attualità, ha pubblicato anche il saggio I racconti del sesso e della menzogna, sulla vita sessuale delle donne marocchine e Il diavolo è nei dettagli, quasi un pamphlet sull’integralismo e la religione a seguito dei sanguinosi attentati del 2015 in Francia.
Adesso con Il paese degli altri (La nave di Teseo) si lancia nei meandri di una saga familiare che la riporta in Marocco, suo paese natale, a tu per tu con la storia coloniale e con quella di sua nonna: Anne Ruetsch, giovane alsaziana, alta, bionda, con gli occhi azzurri, che per amore di un soldato marocchino nel 1946, lasciò la Francia per Meknès. «Questo libro nasce dalla mia esigenza personale di esplorare quella sensazione di estraneità che mi colpisce in Francia come in Marocco. L’idea di essere una sorta di ibrido, di meticcio, mi ha sempre accompagnato, facendomi sentire ovunque straniera, qualcuno che vive nel “paese degli altri”. Poi ho capito che era un sentimento che faceva parte della nostra famiglia, qualcosa iniziato con il matrimonio dei miei nonni.» – Ci ha scritto in un intervista a distanza Leila Slimani – «È nata così Mathilde, la mia protagonista ventenne che sposa Amin, il suo esotico amore incontrato durante la Seconda Guerra Mondiale tra i francesi delle truppe di Liberazione, e lo segue in Marocco. Volevo raccontare una storia di sradicamento, di esilio e di disillusione, soprattutto quando Mathilde si ritrova immersa in una realtà ben diversa da quella dei suoi sogni adolescenziali. Le vicende di mia nonna e la sua vita sono state lo spunto iniziale, ma il romanzo, è totalmente frutto della mia fantasia, salvo per alcuni aneddoti che fanno parte del bagaglio familiare e che riguardano anche la paura, il razzismo e la vergogna, sensazioni che mia madre e mia nonna hanno vissuto sulla loro pelle».
Nel paese degli altri è una trilogia e in Francia, questa prima parte ha un sottotitolo esplicito quanto eloquente: «La guerra, la guerra, la guerra», sottile citazione di Via col Vento che, come ci ha raccontato Leila Slimani, assieme a Novecento di Bertolucci, sono stati i film che l’hanno più influenzata nel costruire un romanzo dallo stile evocativo che sin dall’inizio progredisce per immagini.
Se l’incontro fatale tra Mathilde e Amin avviene sullo sfondo del vasto conflitto europeo, è in un Marocco già percorso da rigurgiti indipendentisti che proseguono le loro peripezie. E mentre la famiglia cresce, la quotidianità diventa una continua battaglia che porta a galla tutto ciò che li separa: cultura, regole sociali, abitudini alimentari e desideri. Intanto, nel paese divampa la guerra d’indipendenza e loro, «ibridi e irregolari», si ritrovano circondati da diffidenza e odio. È il 1956, il primo libro si conclude con la fine del vecchio protettorato francese e l’indipendenza del Marocco.
Il Paese degli altri è un vasto affresco a tratti epico, popolato di personaggi iconici: dai ricchi e sprezzanti coloni francesi; al medico ebreo ungherese; a Selma, la giovane cognata di Mathilde, infantile, spavalda, un po’ Rossella O’Hara, che sogna un amore proibito; a Murad soldato marocchino che ha combattuto per la Francia ovunque, sino in Indocina; all’intransigente Omar forse più voglioso di mettersi in mostra che di indipendentismo.
Leila Slimani fa rivivere con abilità il Marocco degli anni ’30 del Novecento, pieno di dolcezza, tollerante, suggestivo, all’apparenza un fascinoso ed esotico spicchio di Francia dove s’incrociano italiani, greci, russi, spagnoli, ebrei, rifugiati e avventurieri approdati in una terra promessa che sotto la superficie nasconde pregiudizi, divisioni e crudeltà. «Mio nonno marocchino ha combattuto per il paese degli altri e poi è tornato a casa in un paese dominato da altri. Mia nonna, francese, si è ritrovata a vivere nel paese degli altri, ma anche le donne marocchine sottomesse a regole arbitrarie, vivevano nel paese degli altri, cioè quello degli uomini.» – E ci ha spiegato l’autrice – «Per questo ho voluto calarmi nei vari personaggi e sposare il punto di vista di ognuno di loro, anche quando il loro modo di agire arriva alle estreme conseguenze. Voglio turbare il lettore portandolo da un essere umano all’altro e farlo riflettere.»
Uno stratagemma narrativo, o una spasmodica ricerca di equidistanza? Forse la voglia, se non di giustificare il modo di agire di ognuno dei protagonisti, comunque sempre di spiegarli, perché questa saga destinata nei prossimi libri ad avvicinarsi sempre più ad epoche recenti, se per noi è una storia interessante e insolita, in Francia e in Marocco rischia di sollevare aspre polemiche e controversie su fatti storici, politici, religiosi oltre che sul posto nella società francese dei cittadini di origine marocchina, sino alle «ragioni del cuore» che muovono i nostri eroi.