Sotto la stella di Bach

A colloquio con il clavicembalista di origine iraniana Ramin Bahrami che da anni si dedica al repertorio del grande compositore tedesco
/ 13.02.2017
di Enrico Parola

C’è stato un tempo, era la metà del secolo scorso ma erano anche pochi anni fa, in cui le esecuzioni di Bach erano liturgie sacre officiate da austeri musicisti-filologi, per lo più mitteleuropei o anglosassoni. Poi, dopo i Richter, Leonhardt, Gardiner, Herreweghe è arrivato un pianista scappato con la famiglia da una Teheran dominata dagli ayatollah, cresciuto musicalmente in Italia, il volto e il carattere tutt’altro che austeri; e Bach è diventato un fenomeno pop, ha allargato il suo pubblico e ha conosciuto nuova linfa nell’asfittico mercato discografico. È Ramin Bahrami, quarant’anni compiuti il 27 dicembre festeggiati in pubblico a fine gennaio in un concerto dove ha suonato tre Concerti bachiani per due clavicembali e orchestra con la moglie, Marialuisa Veneziano.

Non è un caso, perché l’amore e il culto per il sommo Johann Sebastian dominano totalmente anche la vita e lo spirito di Bahrami. «Verissimo. Se devo sintetizzare i miei primi quarant’anni mi basta un nome, Johann Sebastian Bach. E non è un’esagerazione» sorride Bahrami, che simpaticamente nel suo indirizzo email ha modificato il cognome trasformandolo in «Bachrami»: «I miei primi anni non sono stati facili, ma Bach già illuminava le mie giornate. Mi ricordo che lo ascoltavo su un giradischi che saltava: le bombe detonavano vicine e tremava tutto, ma sinceramente – sarà stata anche l’ingenuità del bambino – non mi sembrava di vivere in un incubo; i miei genitori hanno sempre cercato di farmi vedere e vivere cose belle e Bach fu una delle prime e forse la più significativa. Lo faccio anch’io con mia figlia, Shihin Maria: ha tre anni ed è già un’esperta, canta e fa finta di suonare mentre io e la mamma suoniamo, mi chiede brani precisi, il suo preferito è il terzo movimento di un Concerto che ho inciso con Riccardo Chailly e la Gewandhausorchester di Lipsia. Ma non solo Bach e musica: quando suono in tournée spesso Marialuisa e lei vengono, è già stata a Venezia, Vienna, Parigi… E nelle cose belle ci metto anche certi cartoni animati».

Le frasi divagano tra passato e presente; rieccolo a quegli anni a Teheran: «Le mie radici sono persiane, turche, russe e tedesche, la mia fede era lo zoroastrismo; il regime ci impose l’islam, ma l’adesione di tutta la famiglia fu sempre formale, giusto per salvare le apparenze; però non si poteva reggere a lungo così e mio padre, un ingegnere inviso al regime degli ayatollah, decise di abbandonare l’Iran, passando prima in Germania e poi, quando avevo tredici anni, in Italia. Sono diventato uno studente del Conservatorio di Milano, ho approfondito le conoscenze musicali ma soprattutto ho incontrato un mondo nuovo».

Bach era già il suo idolo: un compositore che appuntava sopra ogni spartito Soli Deo Gloria e che Joseph Ratzinger, quando era ancora cardinale, avevo definito più efficace di tante prediche ascoltate per convincere dell’esistenza di Dio; eppure la conversione di Bahrami al cristianesimo è venuta dopo i trent’anni ed è legata a un episodio particolare: «Ero reduce da una tournée massacrante in Messico; mi sentivo spossato e avevo quasi la tentazione di smettere la vita frenetica del concertista; ma dovevo suonare in Veneto e nella chiesa di un paesino di cui non ricordo il nome, ero entrato quasi per caso mentre passavo di lì, vidi un’immaginetta su cui c’era scritto “seguiMi per come sei, per come stai, ovunque sia e qualunque cosa tu stia vivendo”; sembrava stesse parlando a me che mi sentivo così privo di ogni energia e risorsa; da lì iniziò un cammino rapido e soprattutto interiore. Però ho preso i sacramenti solo prima di sposarmi, perché volevamo farlo in chiesa».

Inutile dire che Bach fu determinante anche per il matrimonio: «Ho conosciuto Marialuisa a una masterclass su Bach che tenni a Roma, lei mi colpì per come aveva interpretato la seconda suite inglese, si vedeva che oltre ad avere una bella tecnica aveva un’umanità viva e uno spirito ricco che rendevano interessante anche il suo modo di suonare. All’inizio mi mossi timidamente: un messaggio via facebook per incoraggiarla prima di un concerto, una email…» E poi l’altare; facile immaginare la marcia nuziale: «Certo, non c’è da chiedere di chi fosse! Ce la suonarono i Solisti Aquilani, amici cari con cui ho suonato varie volte; però c’è stato anche l’Ave verum corpus di Mozart, l’autore prediletto da mia moglie». Bach – Mozart: chi vince in casa? «Anche lei ammette che Bach è il più grande di tutti, talvolta ci sono discussioni animate perché lei è più organista e ha un modo diverso di approcciare le frasi musicali, ma confesso che quando suoniamo insieme tra le mura domestiche eseguiamo soprattutto le Sonate di Amadeus: la considera la sua grande vittoria!».

La dimensione familiare l’ha comunque aiutato a capire meglio Bach: «Essere marito e padre, con le incombenze tipiche come cambiare pannolini o consolare un pianto, mi ha permesso di immedesimarsi ancora di più con un genio che componeva, preparava le orchestre, suonava e insegnava trovandosi in casa un numero incredibile di figli: gliene nacquero 19!» Ma questa passione e soprattutto questa dedizione assoluta non rasentano il fanatismo? «No perché lui non solo fu il più grande, ma è l’unico che può bastare da sé. Ci sono stati vari musicisti che come me hanno dedicato l’intera loro carriera a Bach, ma non ne conosco nessuno che abbia suonato solo Mozart, Beethoven o Chopin: la loro musica è segnata da un certo periodo storico, da un gusto estetico e una temperie spirituali ben determinate, sono fantastici ma capisci che c’è qualcosa d’altro; invece Bach, che tecnicamente sarebbe da ascrivere al Barocco, in pratica non è collocabile in un tempo preciso: è passato, è sempre presente ma in tanti punti è assolutamente futuro per l’audacia visionaria di certe soluzioni. E nella sua musica non manca niente: quando lo suono io metto sulla tastiera anche tutti i miei difetti perché quelle note li abbracciano e li consolano; e così mi sento salvato».