Cercare di capire la rivoluzione di Giotto in pittura significa anche avvicinarsi alla figura di Enrico Scrovegni, ricchissimo banchiere padovano, che nel febbraio del 1300 acquista da un nobile decaduto l’area dell’arena romana nella quale, assieme ad altri edifici, c’era una piccola cappella, meta della processione che ogni anno si teneva il 25 marzo, festa dell’Annunciazione.
Brillante uomo d’affari, Enrico Scrovegni fa dell’acquisto dell’area uno strumento di accreditamento sociale e politico e un modo per lasciare traccia del suo passaggio sulla terra. Per questo, a illustrare la cappella che un giorno dovrà ospitare le sue spoglie e quelle della seconda moglie, Iacopina d’Este, chiama due tra gli artisti più importanti del tempo: Giovanni Pisano e Giotto. Non contento, nel 1304 aggira l’autorizzazione vescovile relativa a un oratorio a uso privato e ottiene da papa Benedetto XI la concessione di aprire la cappella al pubblico. Quanto basta per porlo in aperto contrasto con i vicini frati Eremitani, che denunciano il tutto: troppo imponente il palazzo, troppo grande la cappella, fuori luogo anche gli affreschi che la rivestono. Non sappiamo come andò a finire lo scontro, ma nel 1320 Enrico Scrovegni perse una partita politica e venne esiliato, anche se manterrà la proprietà su questi possedimenti padovani.
In che senso Giotto opera una rivoluzione tra le pareti della cappella in cui si rinchiude per due anni, dal 1303 al 1305? Ne parliamo con Giuliano Pisani, filologo classico e studioso di storia dell’arte e del mondo antico, a cui si deve nel 2010 la proposta di candidatura della cappella e degli altri siti affrescati padovani del Trecento a essere riconosciuti come Patrimonio Mondiale dell’Unesco, proposta che ha trovato accoglienza nel 2021.
Professor Pisani, che tipo di rivoluzione è quella messa in atto da Giotto nella Cappella degli Scrovegni?
Il linguaggio della pittura è completamente rivoluzionato. Per la prima volta si affacciano il realismo, la prospettiva che scandisce i piani della narrazione creando profondità, la rappresentazione architettonica dello spazio. Passioni e sentimenti non sono più dissimulati: Giotto li dipinge sui volti dei personaggi divini e umani. Pietà, tristezza, gioia, dolore sono espressi con un’attenzione minuziosa ai dettagli e un uso magistrale del colore che ha anche una forte valenza simbolica.
Si può affermare che esista una partitura teologico-filosofica negli affreschi padovani?
Certamente ed è anche un unicum nella storia della pittura sacra. Giotto è un artista geniale, ma la complessità teologica nella Cappella degli Scrovegni presuppone una guida che ho identificato nel teologo agostiniano Alberto da Padova, cui si deve anche il raffinato disegno filosofico-teologico dell’ultimo registro, quello dei Vizi e delle Virtù. Vi si rappresentano sette coppie di virtù, le cardinali e le teologali, che sono la cura dei vizi opposti, secondo la dottrina agostiniana della terapia dei contrari: Stultitia-Prudentia, Inconstantia-Fortitudo, Ira-Temperantia, Iniusticia-Iusticia, Infidelitas-Fides, Invidia-Caritas e, infine, Desperatio-Spes. Non c’è nulla di simile in nessun altro luogo sacro. Va ricordato che a Padova Giotto lavorerà pochi anni dopo in collaborazione con uno studioso laico, Pietro d’Abano, che gli ispirò il ciclo astrologico del Palazzo della Ragione, andato distrutto nell’incendio del 1420.
Come si snoda la storia?
La narrazione parte dalla lunetta in alto sull’arco trionfale e si dipana a spirale discendente lungo il registro superiore della parete sud con le storie di Gioacchino e Anna, per proseguire, sulla parete nord, con le storie di Maria, dalla nascita allo sposalizio. Nell’Annunciazione, sull’arco trionfale, Maria e Gabriele sono una di fronte all’altro nel momento decisivo della storia dell’umanità: l’annuncio che il Messia si incarnerà nella giovane. Subito sotto, nella Visitazione, si ha la prima percezione della presenza del Salvatore in grembo a Maria. Il secondo registro della parete sud ospita le storie di Gesù, dalla Natività alla Strage degli innocenti, passando per scene celebri come l’Adorazione dei Magi e la Fuga in Egitto. Sulla parete nord Giotto dipinge l’episodio di Gesù tra i dottori, cui fanno seguito il Battesimo nel Giordano, le Nozze di Cana, la Resurrezione di Lazzaro, l’Ingresso a Gerusalemme e la Cacciata dei mercanti dal Tempio. Dieci quadrilobi intervallano i riquadri con scene tratte quasi sempre dall’Antico Testamento, con una funzione anticipatoria dell’episodio successivo.
Si ritorna sull’arco trionfale dove è dipinto il tradimento di Giuda, che avvia la storia della Passione, morte e resurrezione di Gesù, illustrata nel terzo registro della parete sud (dall’Ultima cena al Cristo deriso) e della parete nord fino all’Ascensione, che chiude il capitolo terreno della vita di Gesù. L’ultimo riquadro, la Pentecoste, raffigura la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli e segna la data di nascita della Chiesa. Nel percorso del quarto registro, quello già ricordato dei Vizi e delle Virtù, l’uomo, in nome del libero arbitrio, è chiamato a scegliere il proprio destino e a coltivare la speranza di poter essere accolto tra i Giusti. Il grandioso Giudizio Universale occupa tutta la controfacciata. Terrificante la rappresentazione delle efferatezze che tortureranno per l’eternità i dannati, secondo la concezione medievale dell’Inferno. In alto due angeli arrotolano il cielo come fosse un tappeto e lasciano intravedere le porte trapunte di gemme della Gerusalemme celeste.
Dopo le parole illuminanti del professor Pisani non ci resta che immergerci nel sublime della Cappella degli Scrovegni, in una narrazione ricca di significati, simboli, spunti di riflessione, per fare un’esperienza complessa, un viaggio dentro di noi alla ricerca del valore e del significato che diamo alla vita. Circondati dalle Virtù e dai Vizi che ci ricordano che siamo piccoli uomini imperfetti, ma che il riscatto è possibile, se crediamo nella giustizia e nell’amore. Sotto la luce blu del cielo stellato che ci protegge e ci ristora.