Solo i forti sopravvivono

Nell’attesa di tornare in tour con la E-Street Band il Boss ci regala un album di grandi cover
/ 12.12.2022
di Fabrizio Coli

«Volevo fare un album dove semplicemente avrei cantato e celebrato il grande repertorio americano degli anni Sessanta e Settanta». Parole del Boss, per spiegare il senso di Only The Strong Survive, il suo nuovo lavoro arrivato a due anni dal personalissimo Letter to You. È un album di cover questo, il secondo in carriera dopo We Shall Overcome del 2006. Se allora al centro c’era il folk di Pete Seeger, questa volta l’amore di Springsteen si riversa su qualcos’altro, il soul e il rhythm and blues della Motown e della Stax, il Philly Sound di Gumble e Huff, mettendo insieme una collezione che intreccia molti brani da scoprire o riscoprire con qualche «quasi classico» più noto.

Questo disco lo si può leggere in più modi. Da una parte c’è l’onesta passione per brani che riportano Springsteen alla sua giovinezza. Lo raccontava lui stesso nelle interviste che sono seguite alla pubblicazione, ricordando le sottoculture giovanili del suo New Jersey negli anni Sessanta, gruppi diversi e separati che però trovavano un terreno comune proprio nell’R&B quando si trattava di scendere sulla pista da ballo. «C’erano un elemento pop nella Motown, un elemento soul e un elemento rock che trascinavano tutti quanti»: parola di Boss.

D’altra parte però questo lavoro suona anche inevitabilmente come un divertissement di una rockstar planetaria che ha fatto di tutto e di più e come meglio non si poteva, e forse ha sentito la voglia, per un attimo almeno, di mettersi alla prova su territori affini e attigui ma diversi da quelli che percorre di solito. Un disco, per chiarire, che ti può venire in mente di fare in età matura, complici anche quei due anni in cui tutto il mondo si è fermato a causa della pandemia.

Ha anche senso quindi che in questa avventura estemporanea non ci sia la fedele E-Street Band, responsabile del sound muscolare che ha fatto del Boss il Boss. A suonare praticamente tutto qui è il produttore Ron Aniello (con l’aggiunta, quella sì, dei fiati degli E-Street Horns). Non ci si è inventati nulla: i quindici brani che compongono l’album – al di là del suono aggiornato al 2022 – sono riproposti in maniera corretta ma convenzionale, niente stravolgimenti, niente rivisitazioni originali. Su questo solco Springsteen si diverte, come dichiarato, a mettere al centro la sua voce di 73enne: una voce calda e rugginosa, una voce che non è nera ma sicuramente è scura, una voce che non manca di indulgere in momenti di accentuato lirismo.

Se si può avere l’impressione, come ha scritto il critico John Murphy sul magazine online musicOMH, di sentire un «Bruce Springsteen Karaoke», piano piano però questa collezione di brani fa la sua magia e ti entra sotto pelle. D’altra parte – e queste sono parole di uno degli intervistatori di Springsteen, Chris Jordan di Ashbury Park Press – in quelle canzoni ci sono «elementi di verità, c’è l’amore, la passione, la saggezza della mamma e un messaggio che in generale è quello che se non sei sincero con chi ami e chi ti ama sei condannato».

Le atmosfere ripercorse sono quelle di personaggi come Jerry Butler, la cui Only The Strong Survive ha finito per dare il titolo all’album e di altri artisti e autori come Levi Stubbs, David e Jimmy Ruffin, Dobie Gray, Diana Ross, i Four Tops ma anche Frankie Valli. L’unico della «vecchia guardia» a partecipare direttamente è Sam Moore, che dà una mano a Springsteen in Soul Days e I Forgot to Be Your Lover. Tra ballad per cuori spezzati come What Becomes of The Brokenhearted fino a qualche raro momento che potrebbe funzionare anche nel repertorio da stadio dello Springsteen più classico come So I Love You (Indeed I Do) di Frank Wilson, fra canzoni più conosciute come quella Nightshift che i Commodores dedicarono ai giganti del soul Marvin Gaye e Jackie Wilson (forse l’unico pezzo fuori dallo spettro temporale dichiarato perché è di metà anni Ottanta) fino a canzoni che lo stesso Springsteen non aveva preso in considerazione prima di lanciarsi in questa avventura come Hey, Western Union Man (ancora Butler), questo disco scivola via liscio e piacevole.

Tirando le somme: se ne sentiva davvero l’urgenza? A dirla proprio tutta no. Ma dal momento che c’è, perché non goderselo? Il trasporto del Boss è autentico e l’incantesimo del soul e del rhythm and blues riesce a stregare anche stavolta. Alla fine è un momento di caldo relax in attesa di rivedere finalmente Springsteen in versione Springsteen nel tour che partirà a febbraio e che il 13 giugno toccherà anche il Letzigrund di Zurigo. Stavolta, ben inteso, con la E-Street Band.