Ci sono cose che sono talmente belle o romantiche o profonde che spesso sfuggono, nel pensiero comune, alle logiche commerciali, pur essendo parte integrante di un sistema economico che tratta queste creazioni come semplice merce, da comperare e vendere.
La musica non fa eccezione. Canzoni che hanno fatto la storia, scritte nell’intimità dei pensieri di molti artisti non sarebbero mai state conosciute se non ci fosse stato qualcuno a metterci dei soldi per inciderle, qualcuno che fosse stato disposto a vendere i dischi di artisti sconosciuti o case discografiche disposte a mettere a disposizione studi e canali di distribuzione. Un sistema complesso e che ci fa chiedere: dopo tutto questo, la canzone, l’opera d’arte, a chi appartiene? O meglio, a chi appartengono i diritti economici?
La domanda non è delle più facili e necessiterebbe pagine di concetti tecnici di carattere giuridico per capire come i 30 franchi spesi per un disco, vengano suddivisi tra i vari attori che abbiamo citato in precedenza. Certo l’esempio del disco è anacronistico. Oggi la musica la si scarica sulle varie piattaforme che per pochi franchi mettono a disposizione migliaia di canzoni, ma il disco rimane la quintessenza della musica. Perdonerete questo piccolo vezzo nostalgico. Anche se a dire il vero, il vinile sta tornando di moda. Ma questo è un altro discorso.
Diritti su quanto scritto e prodotto dicevamo. Prima di arrivare ai giorni nostri, forse è utile capire che questo tema non è frutto del tempo in cui viviamo. Vediamo velocemente un esempio concreto. Nel 1963 i Beatles hanno finito il loro primo album Please, Please Me. Chi lo pubblicherà? Ecco la Northern Song, società della quale prendono una partecipazione anche John Lennon e Paul McCartney. Nel 1969 uno dei maggiori azionisti vende la sua quota alla britannica ATV Music, la quale acquista il controllo del catalogo dei Fab Four. Anche Lennon e McCartney vendono la loro quota della Northern Song ad ATV. Da questo momento i Beatles non avrebbero più avuto il controllo delle loro canzoni.
Nel 1985 i diritti dei Beatles, assieme a quelli di altri musicisti, vengono acquistati da Michael Jackson, per 50 milioni di dollari. A seguito dei guai finanziari di Jackson, nel 2016 i diritti, valutati a un miliardo di dollari, passano definitivamente a quello che oggi è il Sony Music Group. Ora però Paul McCartney sta tentando di riavere il controllo dei suoi capolavori. Ma come già detto in precedenza, ci sono mille considerazioni giuridiche da fare.
Tutto questo per dire cosa? Oggi la vendita dei diritti sulle canzoni è diventato un vero e proprio fenomeno. Ultimo grande nome in ordine cronologico, Bob Dylan, che nel dicembre del 2020 ha annunciato di aver venduto il suo catalogo alla Universal Music Publishing Group, per una cifra tra i 300 e i 400 milioni di dollari. Prima di lui altri grandi hanno ceduto parte o la totalità dei loro cataloghi. Tra questi Neil Young, Shakira, Bob Marley o Whitney Houston.
La domanda sorge quasi spontanea. Perché vendere i diritti su canzoni che sono immortali, che vengono suonate e sentite in ogni angolo del mondo, garantendo un’entrata sicura? Ci sono diversi motivi. Citiamo i più importanti.
Il valore di questi cataloghi è cresciuto a dismisura. La musica oggi si ascolta in streaming. Costa poco, è facile da scaricare e nel 2019 questa industria ha raggiunto i 10 miliardi di dollari di ricavi. Il 21% in più rispetto a un anno prima. La piattaforma più famosa, Spotify, oggi conta circa 150 milioni di clienti paganti. Secondo un’analisi del «Wall Street Journal» un catalogo che normalmente genera 500’000 dollari, oggi ne vale 5 milioni. E questo anche perché oggi, una canzone vecchia di 50 anni può essere riproposta facilmente sui social media, facendola tornare in auge e scalare le classifiche.
La pandemia ha ridotto le entrate degli artisti. Oggi, come detto, con pochi franchi al mese si possono avere migliaia di canzoni sul proprio telefonino. Quindi una fonte importante di guadagno sono i concerti, dove oltre al compenso, i ricavi maggiori arrivano dalla vendita di magliette e affini oppure pacchetti VIP per assistere all’evento. Tutto questo è fermo da molto tempo.
Benefici fiscali. I musicisti, come tutti i lavoratori, vengono tassati su quanto guadagnano. Ma il catalogo è considerato un bene patrimoniale, non un’entrata corrente, e quindi è tassato meno. Vendendo il catalogo, negli Stati Uniti, Bob Dylan pagherà il 20% di tasse. Se avesse dovuto continuare a vivere con i proventi della messa in onda delle sue canzoni, avrebbe pagato il 37%. Ma sembra che il neopresidente USA, Joe Biden, voglia porre fine a questa differenza. Quindi meglio vendere adesso.
Ma chi compera questi diritti? Niente di romantico, niente di ideologico. Oltre ai giganti del settore, come i citati Universal Music o Sony Group, ci sono molti grossi fondi d’investimento sempre in cerca di opportunità di guadagno, visto che i tassi d’interesse si situano a livelli talmente bassi che le alternative d’investimento rimangono poche.
Sempre la solita musica, insomma.