Siamo tutti ciechi secondo Amitav Ghosh

Lo scrittore e antropologo indiano si dice estremamente preoccupato per il rapporto sbagliato tra uomo e natura
/ 20.11.2017
di Blanche Greco

«È opinione diffusa che il cambiamento climatico ci darà molti problemi nel futuro, mentre è evidente che li stiamo già vivendo. Il mutamento è in atto. Ma nessuno ama parlare della morte. In tutto il mondo quest’anno, alluvioni e siccità hanno causato devastazioni e vittime, in India molti contadini si sono suicidati mentre la terra si spaccava per l’arsura». La fisionomia placida, il viso gentile e sorridente dello scrittore e antropologo indiano Amitav Ghosh, il suo inglese colto e musicale, cozzano con il discorso lucido e diretto, costruito su fatti, racconti e riflessioni, che ci espone durante il nostro incontro a Roma, e che è diventato l’argomento clou delle lezioni che sta tenendo in Italia e all’Estero e che ha espresso nel suo ultimo libro La Grande Cecità – il cambiamento climatico e l’impensabile, saggio pubblicato recentemente da Neri Pozza.

«Non riusciremo mai a recuperare la giusta visione di ciò che ci circonda fintanto che continueremo a pensare in termini di “natura”, perché la parola “natura” crea una distanza, un universo separato, come quando ci riferiamo alla cultura, secondo un’idea della fine dell’800» ci spiega Amitav Ghosh.

«Oggi sappiamo che non è così, la «natura» ha sempre avuto «l’imprinting» della cultura, ecco perché c’è il riscaldamento globale causato dalle emissioni con le quali l’uomo sta continuando a saturare l’atmosfera. Prima del XVIII secolo, natura e cultura non erano separate. Riflettere su cosa è successo nel nostro modo di vedere le cose, è interessante, anzi per certi versi illuminante. Ad esempio a Venezia esiste una magnifica piccola piazza chiamata Madonna dell’Orto, ma se andate a leggerne la storia, scoprirete che quella Madonna non ha niente a che fare con le piante, le verdure, o i giardini. Per trovare un rapporto migliore con ciò che ci circonda, dovremmo cominciare a pensare alla «natura» in modo più sfaccettato e ricco. Le faccio un altro esempio: noi oggi sappiamo che una buona parte della nostra massa corporea è costituita da un insieme di «parassiti» come i batteri, esseri viventi infinitesimali che però hanno un grande impatto sulla nostra salute sia fisica che mentale, pensiamo solo alla flora intestinale che se si sbilancia, ci pone problemi seri di tutti i tipi. Questa è la natura».

Per Amitav Ghosh, il cambiamento climatico non è solo il tema del suo libro, ma ciò che più gli sta a cuore da quando, lavorando alla stesura del romanzo Il paese delle Maree (2004), che si svolge nell’arcipelago delle isole Sundarbans – tra il mare e le pianure del Bengala – scoprì che qualcosa d’irreversibile stava accadendo: lì, tra le foreste di mangrovie, il mare si stava infiltrando sempre più, fino a inondare le terre coltivate, causando un inarrestabile arretramento delle linee costiere. Le Sundarbans rischiano di venire cancellate dal mare, ma sono molte le zone costiere nel mondo, la cui esistenza è minacciata dal surriscaldamento globale.

Così, Amitav Ghosh in La Grande Cecità, inizia un «viaggio» che comincia dalla storia dei propri avi, nell’800 originari del Bangladesh, «profughi ecologici» ante litteram, quando il fiume Padma deviò il suo corso e si prese il loro villaggio, costringendoli a emigrare. E poi procede, ricordando episodi, notizie sulle manifestazioni della natura e sulla loro violenza; indaga raccogliendo storie, vicende, tradizioni, precedenti, sino ad arrivare alla letteratura, all’architettura, e a tracciare un affresco dove, umanità, cultura, Storia, società da un lato; ed eventi naturali e cambiamento climatico dall’altro, giocano da molti anni, drammaticamente «a nascondino».

«Le antiche grandi città portuali, in Europa come in Asia, nacquero al riparo di baie, o profondi delta dei fiumi come Londra, Lisbona, o Kochi e Guangzhou, come se si dovessero tutelare dalla furia dell’oceano, da tsunami, o onde di marea. Perché invece, a partire dal 1600 cominciarono in tutto il mondo a sorgere grandi città coloniali sul litorale, come Mumbai, Chennai, New York e Charleston?» Si chiede Amitav Ghosh dopo che l’uragano Sandy, che si è abbattuto su New York nel 2012, ha evidenziato la vulnerabilità della città, e traccia un paragone con Mumbai, altra megalopoli, dove quasi dodici milioni di persone vivono immemori di trovarsi su un gruppo di isole, o come lo definisce lui, «su un cuneo di terra rabberciato in balia dell’oceano».

Come scopre Ghosh, Mumbai ha sperimentato diverse volte nella sua storia la furia degli elementi, ma è stato nel 2005 che in un solo giorno, un diluvio senza precedenti mise gli abitanti di fronte alle tragiche «conseguenze di tre secoli di indifferenza per la situazione ecologica della città». Ma le persone cosa ricordano davvero di questi eventi? E la letteratura perché corteggia il mistero, racconta di eventi soprannaturali, flirta piuttosto coi fantasmi, ma non parla che raramente di tsunami, tifoni ed altri eventi naturali che sono sempre esistiti, ma che il cambiamento climatico sta rendendo più numerosi e potenti? 

Nella Grande Cecità Amitav Ghosh fa emergere a poco a poco il ruolo ambiguo della «cultura, connessa al mondo della produzione delle merci, che ne induce i desideri» e da grande affabulatore quale è, crea un’affascinante mappa geografica costellata di storie e di protagonisti reali, di dati e di riflessioni, che attinge alla psicologia, alla religione, alla pubblicità, e alla politica, per capire il comportamento dell’uomo nei confronti del proprio ambiente e, per quanto possibile, prevederne il futuro. Su questo aspetto Amitav Ghosh non nasconde il proprio pessimismo: «Molti dei fenomeni a cui assistiamo oggi, sono iniziati tanti anni fa, e non sono più reversibili, qualsiasi cosa facciamo.

Perciò non è facile essere ottimisti. Inoltre è evidente che tutti i meccanismi politici che abbiamo messo in campo per combattere il cambiamento climatico, hanno fallito. Saremmo degli stupidi a non riconoscere che i nostri governi non sono stati capaci di dare risposte adeguate al problema. Anzi, il cambiamento climatico sta provocando una vera e propria guerra. E questo è ciò che fa trionfare personaggi come Trump, che, se non altro, ammettono l’esistenza di questa guerra che provoca rifugiati, popolazioni in fuga dalle carestie, dalle alluvioni, o dalla siccità; o da eserciti che si appropriano delle fonti d’acqua».

Tuttavia, concludendo la nostra intervista Amitav Gosh ammette: «Quando penso ai miei figli, voglio nutrire delle speranze e mi rincuora vedere che Papa Francesco sente il problema del cambiamento climatico e si batte per creare una consapevolezza diffusa, ma è un’eccezione. In America i protestanti sono contro qualsiasi teoria del cambiamento climatico; e le altre religioni, sembra non capiscano l’urgenza di questo problema, o sono indifferenti, chiuse nel proprio tradizionalismo; o più interessate al denaro e al profitto. Come si fa ad essere ottimisti?»