Si fa presto a dire codice a barre

Fino all’8 novembre il Fiore di Pietra ospita una mostra di Matteo Fieni
/ 05.10.2020
di Giovanni Medolago

Matteo Fieni nasce nel 1976 a Tremona, ultimo pargolo di una famiglia numerosa (cinque fratelli e una sorella). Ricorda d’aver trascorso un’infanzia piena di scoperte: gli atelier di alcuni artisti, i racconti di formibabili lettori/affabulatori, le Cave di Arzo, la casa di una coppia di fotoreporter. Ce n’era d’avanzo per soddisfare la crescente curiosità di un ragazzo che alla fine sceglie la fotografia quale strumento funzionale per compiere altre scoperte e del quale armarsi per tuffarsi in sempre nuove ricerche. «L’arte secondo me non è decorazione, bensì provocazione. L’arte deve essere irruenza/prepotenza e contemporaneamente restare semplice ed effimera. Sa incuriosire, deve far immaginare, può far sognare. L’arte è una giornata di sole, è la bellezza della vita! Quindi più riesci a carpirla e maggiormente riesci a illuminare, a comunicare, a trasportare le persone in un’altra dimensione». Così dichiarava dopo essersi aggiudicato lo Swiss Photo Award 2012 grazie al lavoro Good Morning, Lugano.

Ormai da qualche anno, la sua attenzione è rivolta al quel «codice a barre» che irrompe quotidianamente nelle nostre vite. Si intitola appunto Barcode la sua mostra, offerta nel Fiore di Pietra sul Monte Generoso. Una serie di immagini stampate su vetro, realizzate dalla Crystalexe di Rancate e sulle quali Fieni è poi intervenuto per staccarsi dalla mera memèsi di un luogo concreto e preciso (scorci parigini, la Banhofstrasse zurighese) per giungere a una trasfigurazione del codice a barre. Un lavoro che rimanda al concetto di «inconscio ottico» caro a Franco Vaccari e in particolare al volume di quest’ultimo: Le tracce occultate. Storie di codici a barre e di sciamani.

Matteo Fieni si è tuttavia spinto ben oltre: la sua ricerca – spiega – parte addirittura da Tito Caio Lucrezio e quella sua versione dell’epicureismo (cara stavolta a Giacomo Leopardi), passa da Dostoevskij (»Ri/ancorare il senso di bellezza») e sfocia nell’ucronia: un nessun tempo che si affianca al nessuno spazio dell’utopia. «C’è un’analogia formale – spiega ancora Fieni – tra i motivi grafici adottati dal barcode e i motivi fotografici che si possono ottenere attraverso un processo meccanico.

C’è un costante rimodellamento tra domanda e offerta, un flusso di dati sempre più veloce e dinamico, ciò rende il presente più distante dal reale, ed è impossibile da fermare». Matteo Fieni è viceversa riuscito a fermare nel tempo e nello spazio delle immagini che affascinano, anche per gli accostamenti cromatici e – dulcis in fundo – per quelle tracce d’arcano che le permeano.