Sguardi incrociati sull’Antico Egitto

Il nuovo catalogo sulle collezioni di egittologia del Museo di Etnografia di Neuchâtel
/ 04.10.2021
di Marco Horat

Ad occuparsene è stata naturalmente un’egittologa, Isadora Rogger, conservatrice aggiunta al MEN, che si è avvalsa di diverse collaborazioni. L’intento è di mettere a disposizione degli specialisti, ma anche degli appassionati, un’opera che tenga conto degli studi più recenti; una pubblicazione avviata anni fa dall’allora direttore Marc-Olivier Gonseth, che continua la tradizione legata ai tesori del museo neocastellano in una nuova veste, curata per la parte grafica dal ticinese Oliver Schneebeli e pubblicata dalla Buona Stampa di Lugano. Un catalogo ragionato che è un vero e proprio studio a largo raggio di 500 pagine sulla collezione egizia, composta da reperti riuniti essenzialmente durante lo scorso secolo; ma che aveva preso avvio con l’acquisizione da parte della città di Neuchâtel di una mummia già nel 1838, di un sarcofago donato dal Chedivè d’Egitto alla fine dell’800 e di qualche precedente donazione.

«La figura di riferimento – dice Isadora Rogger – è Gustave Jéquier, uno dei pionieri dell’egittologia in Svizzera, scomparso nel 1946. La maggior parte dei nostri reperti proviene infatti dai suoi scavi a Saqqara negli anni 20 e da quelli di altri suoi colleghi, sotto l’egida del Servizio delle Antichità e in accordo con le autorità locali. A questo nucleo si sono aggiunte donazioni da parte di privati, viaggiatori e collezionisti». Creare una collezione non significa semplicemente accatastare begli oggetti da esporre in vetrina accompagnati da un’etichetta quando si hanno informazioni sulla loro provenienza; si devono seguire dei criteri scientifici: «Jéquier voleva una collezione di qualità che tenesse conto dei molti materiali impiegati e che rappresentasse la cronologia del mondo egizio, dal Periodo predinastico a quello Tolemaico. Poiché gli oggetti erano riuniti nel Museo di etnografia (fondato nel 1904), si doveva anche tener conto del rapporto di questa con l’archeologia; lo sguardo incrociato tra le due discipline crea dunque un legame tra passato e presente».

Negli anni alla guida del MEN si sono succeduti diversi direttori fino all’attuale co-direttore Grégoire Mayor, passando per alcune personalità di caratura internazionale come Jean Gabus e Jacques Hainard. Con il mutare delle sensibilità e lo sviluppo della museografia moderna si è anche rimesso in gioco il modo di presentare al pubblico gli oggetti delle collezioni, compresa quella egizia: non tanto allestendo una mostra permanente di stampo classico, quanto facendo ruotare reperti scelti all’interno di esposizioni temporanee, rendendoli quindi funzionali a una data tematica e accompagnandoli da una scenografia di rottura, che non ne valorizzava solo l’aspetto estetico. Alcuni esempi: L’impermanence des choses, C’est pas la mort!, L’art c’est l’art...

Le riflessioni sulla museografia e sul rapporto tra culture diverse presuppongono anche implicazioni politiche legate al colonialismo internazionale e all’appropriazione di tesori artistici da parte delle nazioni dominanti. Un tema del quale si discute oggi e che tocca anche il nostro Paese: «Non le nostre collezioni egizie però, che come detto hanno una storia molto trasparente, essendo frutto di missioni archeologiche ufficiali, seguite da vicino dalle autorità secondo le regole del tempo. La maggior parte di quanto usciva dal terreno rimaneva di proprietà dell’Egitto; solo oggetti meno preziosi ma comunque storicamente significativi venivano lasciati agli archeologi delle missioni straniere». E questo fin dai tempi della fondazione del Museo del Cairo da parte di Auguste Mariette nel 1863. Naturalmente si aprirebbe un discorso sugli scavi clandestini, sul commercio delle antichità e sui relativi diritti di proprietà degli oggetti esposti oggi nei musei, ma qui interessa la collezione egizia del MEN.

Conclude Isadora Rogger: «Il catalogo è importante perché permette di avere uno sguardo a tutto tondo sull’intera collezione, toccando i diversi aspetti legati all’acquisizione, allo studio, al restauro, alla presentazione degli oggetti, dal momento che la grandissima parte della raccolta non è purtroppo fruibile dal pubblico per ragioni di spazio. Quello che faremo comunque è continuare con la rotazione e il prestito ad altri musei delle nostre antichità egizie, poiché meritano di essere conosciute».
E allora perché non pensare un domani a visite virtuali nelle collezioni conservate nei magazzini del MEN? Sarebbe un modo per valorizzarle in mancanza del contatto diretto, come ci ha insegnato la pandemia.