Sesso, potere, morte

La tragedia del vendicatore con attori italiani e regia di Donnellan sarà al LAC di Lugano il 29 e il 30 novembre 2018
/ 29.10.2018
di Giovanni Fattorini

Oggi attribuita a Thomas Middleton e non più a Cyril Tourneur, La tragedia del vendicatore (The Revenger’s Tragedy) – rappresentata per la prima volta a Londra nel 1606 e ambientata in un’immaginaria città italiana – prende le mosse dalla ferma determinazione del giovane Vindice di vendicare la morte della promessa sposa Gloriana, che l’anziano e lussurioso duca ha ucciso col veleno perché non ha ceduto alle sue voglie.

La lussuria è il vizio capitale che accomuna altri componenti della famiglia del duca. Lussurioso è Junior, figlio minore della duchessa, il quale è sotto processo perché ha stuprato la moglie del nobile Antonio. Lussuriosa è la duchessa, che concupisce e riesce a portarsi a letto il figlio illegittimo del duca, Spurio. Lussurioso (occorre dirlo?) è Lussurioso, figlio legittimo del duca, che ha messo gli occhi su Castizia, figlia di Graziana e sorella di Vindice e di Ippolito.

Il tema della lussuria s’intreccia con quello della conquista e dell’esercizio del potere. Ambizioso e Supervacuo, figli maggiori della duchessa, tentano di far uccidere Lussurioso, che dopo l’assassinio del padre, caduto in una trappola tesa da Vindice e da Ippolito, s’impadronisce prontamente dello scettro ducale, accrescendo in tal modo l’odio della duchessa e dei fratellastri. Ma il tema principale, come suggerisce il titolo della tragedia, è la vendetta. Vindice vuole vendicare l’uccisione di Gloriana; la duchessa, l’incarcerazione di Junior, che il duca non ha sottratto d’autorità al potere giudiziario; Antonio, la moglie stuprata che si è tolta la vita per la vergogna; Spurio, la sua esclusione dall’asse ereditario; Lussurioso, l’informazione involontariamente erronea datagli da Piato (cioè da Vindice travestito) che gli è quasi costata la vita.

Scritto quando il filone della tragedia di imitazione senecana non era più di gran moda, il truculento dramma di Middleton appartiene (come l’Amleto shakespeariano!) al genere revenge tragedy, e a giudizio quasi concorde degli studiosi presenta pregi e difetti evidenti. Principale difetto: i suoi personaggi sono privi di sfumature, di complessità. Sono figure monodimensionali, come sembra preannunciare il fatto che al posto dei nomi propri alcuni di loro hanno dei qualificativi che richiamano le morality plays. (Il mutamento di Graziana, che da madre ruffiana si riconverte in madre onesta, avviene con tale rapidità da risultare estremamente improbabile, per non dire inverosimile).

In un saggio pubblicato nel 1934, quando la tragedia era attribuita a Tourneur, T.S. Eliot afferma (la traduzione è di Alfredo Obertello) che i personaggi di un’opera teatrale «sono reali nel loro rapporto vicendevole, e la compattezza del modello emotivo è […] parte importante del merito drammatico». I personaggi di The Revenger’s Tragedy «recano questa concordanza. Possono essere deformazioni, grotteschi, quasi puerili caricature umane, ma sono tutti quanti deformati in scala. Onde l’intera azione […] ha la sua propria realtà autonoma». Osservazioni acutissime. Resta però il fatto che lo spessore dei personaggi è minimo, e la visione radicalmente pessimistica della vita espressa da Middleton è priva di sfumature. Da tale mancanza (e dalla «compattezza di struttura» di cui parla Eliot), deriva tuttavia un effetto positivo: la rapidità dell’azione.

C’è poi un pregio che Eliot rimarca più volte: «la bellezza del verso», «la piena maestria del verso sciolto», «uno sviluppo altamente originale di vocabolario e di metrica». Sono qualità che vanno inevitabilmente perdute nella traduzione approntata da Stefano Massini per lo spettacolo prodotto dal Piccolo Teatro di Milano e firmato da Declan Donnellan, che per la prima volta ha lavorato con attori italiani, quasi tutti giovani o giovanissimi.

L’immagine iniziale è di grande sobrietà: uno steccato di colore sanguigno (lo scenografo è Nick Ormerod), che più avanti si rivela formato di elementi modulari, alcuni dei quali à coulisse, che scorrendo mostrano le riproduzioni ingigantite di famosi dipinti italiani di età rinascimentale (per le scene di corte) o un angolo di giardino (della casa di Graziana). All’improvviso fanno il loro ingresso tutti i personaggi, in abiti moderni e in fila danzante: un po’ passerella rivistaiola e un po’ discoteca. È un’immagine che rende subito manifesta la modalità espressiva scelta da Donnellan: il grottesco. Un grottesco esasperato, fatto di gestualità sovreccitata, frenesia ambulatoria, atteggiamenti sguaiati, sottintesi erotici arbitrari, recitazione spesso gridata (i migliori interpreti sono Ivan Alovisio, Fausto Cabra, Raffaele Esposito, Pia Lanciotti, Massimiliano Speziani), e con una scenetta horror (l’uccisione e la mutilazione del duca) ripresa con videocamera a mano pensando a Cannibal Holocaust più che a The Blair Witch Project

Uno spettacolo veloce ma inefficace. Non stimola intellettualmente e non coinvolge emotivamente. Ogni tanto fa ridere.