Bibliografia
Marcel Reich-Ranicki, Der doppelte Boden. Ein Gespräch über Literatur und Kritik mit Peter von Matt, Zurigo, Kampa Verlag, 2020.


Scrittori contrabbandieri

Il «papa» della letteratura tedesco Marcel Reich-Ranicki amava essere letto
/ 21.12.2020
di Natascha Fioretti

«Non ho mai scritto di un libro che ho letto una sola volta. Non credo nemmeno che si possa fare. Non significa che si debba leggerlo due o tre volte, una e mezzo mi sembra un compromesso minimo accettabile. La prima volta un libro va letto dalla prima all’ultima riga, i capitoli o estratti importanti, una seconda». Marcel Reich-Ranicki, il critico letterario della «Frankfurter Allgemeine Zeitung» (F.A.Z.), la cui fama ha superato di gran lunga quella dei libri e degli autori che per quindici anni ha recensito sulle pagine del quotidiano tedesco, leggeva sempre con una matita in mano. Poi, prima di pubblicarle, sottoponeva le sue critiche a due redattori del giornale per una rilettura. Quelle particolari addirittura a una terza persona di fiducia ed era grato per qualsiasi appunto, anche la segnalazione di una ripetizione.

Der doppelte Boden. Ein Gespräch über Literatur und Kritik mit Peter von Matt, ci racconta un Marcel Reich-Ranicki inedito. Si tratta, va detto, di una riedizione che raccoglie la conversazione tra il germanista zurighese e il critico letterario avvenuta negli anni tra il 1986 e il 1991. Ad arricchirla rispetto alla prima edizione del 1992 uscita per l’editore zurighese Amman ci sono quattro saggi di Peter von Matt e una prefazione del curatore Thomas Anz. Il fil rouge che unisce le tre penne è certamente la «Frankfurter Allgemeine Zeitung»: Thomas Anz vi lavorò da redattore culturale del Feuilleton nei primi anni 80 e Peter von Matt fu invitato a scrivere sulle pagine del giornale dallo stesso direttore (mentre in Svizzera i suoi articoli non trovavano spazio). Quella della conversazione, invece, è una tradizione letteraria tedesca, basti pensare a quelle tra Eckermann e Goethe. Attraverso uno scambio diretto ed empatico si mettono in luce non soltanto competenze e talenti degli interlocutori ma si racconta, da un lato, il contesto sociale e culturale, si evidenziano le personalità letterarie dell’epoca, dall’altro si penetra la sfera più intima e umana dell’intervistato.

Non fa eccezione Der doppelte Boden, un libro molto personale, un Tour d’horizon attraverso la letteratura del nostro secolo, un diario di bordo letterario al tempo stesso stimolante e seducente, senza dubbi provocatorio. Per trasmettervi parte delle atmosfere e delle peculiarità del testo, parte dell’intensità dei dialoghi, abbiamo fatto qualche domanda a Peter von Matt. Il professore di letteratura tedesca a Zurigo, ricorda il luogo in cui le conversazioni presero forma, l’appartamento sulla Gustav-Freytag Strasse nel quartiere dei poeti a Francorforte. L’editore Amman seduto accanto con il suo registratore, la moglie Tosia sullo sfondo della stanza che – tra una sigaretta e l’altra – ascoltava in silenzio ma interveniva fulminea ogni qual volta a Marcel Reich-Ranicki sfuggivano un nome o un titolo.

A proposito di titoli, Peter von Matt ci spiega il perché del doppiofondo (der doppelte Boden). «Marcel Reich-Ranicki non si interessava di letteratura triviale, per lui un testo doveva avere una sua emblematicità, una sua simbolicità altrimenti non era letteratura. Il direttore del Feuilleton paragonava lo scrittore a un contrabbandiere che nel doppiofondo della valigia nasconde molto di più di ciò che si coglie a prima vista».
Il papa della letteratura era un’istituzione, le sue critiche erano molto temute perché quasi sempre fuori dal coro e capaci di sollevare accesi dibattiti.

Sapeva cogliere negli autori finezze e profondità oscure ai suoi colleghi. Stroncò Il tamburo di latta di Günter Grass di cui criticò spesso e volentieri la prosa innalzandone invece la poesia, idem per Brecht di cui pure prediligeva la lirica mentre di Dürrenmatt apprezzava soltanto le opere teatrali, non rimase impresso dai suoi romanzi. «Era uno che sapeva fare il suo mestiere. Sapeva catturare e raccogliere le persone attorno ai suoi articoli e questo accresceva l’invidia dei colleghi. Voleva essere letto». Nel libro si dice che la FAZ con le sue pagine culturali costituiva negli anni 70 e 80 un centro di potere della cultura e del sapere. Guardando al paesaggio mediatico svizzero e a un grande giornale come la «Neue Zürcher Zeitung», c’è ancora posto per la critica letteraria? «Dal mio punto di vista la NZZ ha compiuto un passo inquietante. Hanno praticamente eliminato la critica della letteratura tradizionalmente intesa. Di quando in quando si presenta un libro, si fanno un paio di commenti, si anticipa qualcosa ma nulla che ricordi la tradizione della critica letteraria di un tempo. In generale le pagine si sono molto assottigliate».

Nelle loro conversazioni i due esperti toccano molti temi, si chiedono, ad esempio, se si possa parla di letteratura svizzera «No, abbiamo una letteratura in lingua tedesca – dice Ranicki – Non mi interessa minimamente se il libro che leggo è di un autore svizzero, austriaco, tedesco o della DDR». Si parla anche delle autrici svizzere, il critico tedesco dice che l’unica a comparire nella storia della letteratura elvetica è Silja Walter ma precisa «non penso che le scrittrici in passato non abbiano avuto visibilità perché sottovalutate. Piuttosto è vero che veniva loro negata la possibilità di studiare, di prendere parte alla vita intellettuale del paese perché dovevano occuparsi della famiglia. Ma quando hanno scritto e avevano talento come la poetessa tedesca Annette von Droste-Hülshoff non sono passate inosservate».

Nel fare il suo mestiere si sa, era impietoso, passionale, tagliente, talvolta, persino perfido. A suo dire «chi ha il coraggio di molestare l’opinione pubblica con il suo prodotto letterario deve accettare che qualcuno valuti il suo lavoro» e a chi prendeva male le sue critiche consigliava di «non rompere lo specchio che gli mostrava le sue smorfie». Nei confronti di un nuovo libro reagiva con tutta la sua figura umana e cioè con la sua competenza ed esperienza, le sue vicissitudini, le sue preferenze, le sue debolezze e virtù. Per Marcel Reich-Ranicki l’apertura era un criterio fondamentale, l’apertura nell’accogliere nuove pubblicazioni, nell’ospitare sulle sue pagine opinioni differenti dalla sua purché ben argomentate e nel far dialogare critici e studiosi della letteratura.

Peter von Matt lo conobbe sul lavoro e nel privato. Per quanto riguarda il primo racconta di essere rimasto colpito nel vederlo all’opera: «Era un instancabile lavoratore che disdegnava qualsiasi forma di negligenza. Oltre al suo amore per la letteratura, lo contraddistingueva una professionalità nel senso più alto del termine. Ad amare sono capaci tutti ma a lavorare con la sua dedizione ci vuole una marcia in più».

Se la direzione del Feuilleton lo aveva reso una personalità di riferimento nel mondo giornalistico e culturale a dargli la notorietà fu il programma letterario televisivo Das literarische Quartett, del quale lo stesso Peter von Matt è stato più volte ospite. «In televisione era un attore. Ricordo quando eravamo in studio. Poco prima che la trasmissione andasse in onda quest’uomo stava seduto sulla sedia totalmente inanimato e ricurvo su sé stesso come un sacco. Partita la diretta si trasformava. Si alzava, parlava, dibatteva senza sosta, litigava prima con Hellmuth Karasek, altro feuilletonista tedesco famoso, poi con il critico letterario Siegfrid Loeffler.

Spenti i riflettori, si accasciava sulla sedia esausto e ammutoliva di nuovo». Com’era nel privato? «Se una persona gli piaceva e decideva che poteva fidarsi, era un brillante e cordiale intrattenitore, nulla a che vedere con il Ranicki mordace e chiassoso delle critiche letterarie. Naturalmente, in generale, era una persona molto diffidente, in verità non si fidava mai di nessuno e questo è comprensibile dato il suo passato. Certo si doveva sempre parlare di letteratura. Non potevi pensare, durante una passeggiata, di dire cose del tipo “laggiù c’è un bel fungo” oppure “ho visto un bel fiore”. Ti avrebbe preso per matto. Si doveva parlare di letteratura, altro per lui non esisteva».