«Considerato che Hitler mi voleva uccidere e che io invece sono addirittura diventata mamma e poi nonna, mi sembra che alla fine ho vinto io». Senza timore di parere eccessivi, si potrebbe affermare che dopo l’epoca di Primo Levi c’è stata un’epoca di Liliana Segre. Non per la portata della sua opera, che è naturalmente incomparabile con quella del più celebre chimico-scrittore, ma per l’efficacia e la peculiarità della sua testimonianza.
La voce di Liliana Segre, il suo stile sobrio, delicato eppure molto fermo, rigorosissimo nel richiamo alla responsabilità individuale di ciascuno, era esattamente ciò di cui questa stagione incerta e un po’ infantile aveva bisogno. Al chiudersi di un trentennio di conferenze e incontri nelle scuole (compirà novant’anni il prossimo 10 settembre) è un bene che le Edizioni Casagrande abbiano avuto l’idea di raccogliere in volume le tracce del suo recente passaggio nella Svizzera italiana.
Invitata all’USI dalla Goren Monti Ferrari Foundation il 3 dicembre 2018, Liliana Segre vi ha incontrato alcune centinaia di giovani studenti ticinesi, intervenendo per la prima volta ufficialmente in quella terra che l’aveva respinta tredicenne alla dogana di Arzo, assieme al padre e a due anziani cugini. Le conseguenze dirette di quella mancata concessione dell’asilo, favorita dall’agire miope e volgare di un responsabile delle guardie di confine, furono l’immediato arresto in Italia, l’incarceramento a Como, Varese e San Vittore («Perché? Perché una persona che non ha fatto niente di male, che è solo colpevole di essere nata, entra in un carcere?») e infine il viaggio verso Auschwitz sui vagoni della morte partiti dal Binario 21, là dove la stessa Segre ha promosso nel 2013 l’istituzione del Memoriale della Shoah, sotto la Stazione Centrale di Milano.
Alla richiesta di perdono del Consigliere di Stato Manuele Bertoli, responsabile cantonale della pubblica educazione, ha fatto seguito un vivace dibattito sui media ticinesi, un prezioso momento di autocritica in cui è emersa però, in parte dell’opinione pubblica, anche una sottile resistenza ad affrontare con coraggio questi temi. Dopo lo scandalo dei beni ebraici rimasti silenti nelle banche svizzere e il successivo dibattito attorno ai risultati (discutibili) del Rapporto Bergier, erano in molti a considerare finalmente concluso quel triste capitolo della nostra storia.
La visita di Liliana Segre ha riaperto una ferita, costringendoci a uno sguardo retrospettivo senza sconti, con conseguenze che si proiettano anche sull’interpretazione del nostro presente. La sua condanna dell’indifferenza in ogni forma – tacere, nascondersi, guardare di lato − è infatti una provocazione che tocca tutti, nessuno escluso, perché l’opzione in favore del bene e della giustizia è una scelta che va costantemente rinnovata nella quotidianità, non un patrimonio morale ereditato in blocco una volta e per sempre (dal passato, dalle circostanze, dalla convinzione di essere diversi e migliori).
Pur essendo una vittima, e soltanto più fortunata di altre, con grande sensibilità pedagogica nei suoi incontri con i giovani ha sempre voluto spostare l’attenzione sui carnefici, cioè su tutti i responsabili diretti o indiretti del terribile destino che si è trovata ad affrontare. Implacabile nella sua fermezza, Liliana Segre ha avuto il coraggio di puntare il dito non soltanto contro i gerarchi nazisti o i kapò dei campi di sterminio, ma anche contro i moltissimi collaboratori italiani, francesi, ungheresi, contro i soldati svizzeri e le donne di Arzo che finsero di non vederla la mattina del suo arrivo, o ancora contro le compagne di scuola non ebree ai cui occhi era diventata invisibile subito dopo l’applicazione delle leggi razziali (e a se stessa non perdona, tra le altre cose, di non essersi voltata per salutare l’ultima volta una compagna di prigionia condannata a morte).
Insomma tutti i protagonisti di un film che potrebbe intitolarsi Indifferenza − è la parola da lei scelta per il Memoriale di Milano − e che ciclicamente si ripropone non appena abbassiamo la guardia dell’attenzione nei confronti dell’altro, ogni qual volta decidiamo di non «scegliere sempre la vita» in favore di comodità ed egoismo.
Rispetto al suo libro maggiore, La memoria rende liberi, pubblicato nel 2015 in collaborazione con Enrico Mentana, il volume proposto da Casagrande ha il merito di concentrare in poche pagine, frutto di un esercizio continuo di affinamento e cristallizzazione, l’intera parabola della sua drammatica esperienza: saltano alcuni dettagli ma le tappe principali ci sono tutte, al punto che è davvero semplice, nel corso della lettura, sovrapporre al volto della donna anziana quello della ragazzina ingenua e spaurita. Ciò che non finisce di soprendere è come queste due identità così apparentemente lontane possano continuare a coesistere in una persona che non ha abbandonato la speranza di poter cambiare gli altri con la forza pacata delle proprie parole.
La lezione luganese è introdotta da un’orazione civile di Giulio Cavalli modulata su toni politici non proprio in linea con lo stile di Liliana Segre (il consiglio sarebbe semmai di leggerla dopo, o di saltarla del tutto) ed è chiusa dalla trascrizione dell’intervista curata da Bruno Boccaletti per la Radiotelevisione svizzera RSI, in cui la senatrice ritorna con ancor maggiore chiarezza su alcuni temi cruciali: «Io sono ligia alle leggi [...] non sono una vecchia pazza che va per il mondo predicando violenza e sono molto attenta ai miei doveri di cittadina, però sono anche convinta che qualche volta ci può essere un ordine a cui bisogna disobbedire per salvare vite umane».
Il grande rispetto per la Costituzione italiana e per le premesse culturali che hanno portato alla sua stesura ferma Liliana Segre ben al di qua della disobbedienza civile, non senza additare una via (libera e alternativa) che ciascuno è chiamato a percorrere con il proprio bagaglio di essere umano, fratello di tanti altri al pari di lui.

Bibliografia
Liliana Segre, Scegliete sempre la vita. La mia storia raccontata ai ragazzi.
Prefazione di Giulio Cavalli, Edizioni Casagrande, 2020
Scegliere sempre la vita
La lezione di Liliana Segre ai ragazzi delle scuole ticinesi
/ 07.09.2020
di Pietro Montorfani
di Pietro Montorfani