Pierre Boulez, Verbo indiscutibile per mezzo secolo della musica contemporanea, manifestava, bontà sua, ammirazione nei confronti di un direttore d’orchestra oggi poco noto, l’austriaco Hans Rosbaud (nato a Graz nel 1895 e morto, durante una convalescenza a Carabbia, nel 1962).
In un certo senso Boulez aveva spiccato il volo nella carriera direttoriale, proprio quando Rosbaud aveva iniziato ad avere i primi problemi di salute. Testimoniando il debito come compositore, Boulez mostrava di essere lui ad avere raccolto il prezioso testimone di gran pontefice della contemporaneità («sono troppo conscio di quanto gli devo come compositore, senza di lui la mia musica non sarebbe stata eseguita come è stata. Ho chiara memoria delle sue prove, perché ho imparato così tanto dalla sua attitudine professionale a qualsiasi cosa stesse facendo»).
Rosbaud era capace di ottenere la cifra incredibile di 44 prove d’orchestra per assicurare l’adeguata prima esecuzione del brano che diverrà emblema di Boulez, Le marteau sans maître. Uno zelo tecnico e morale che riservava a tutte le prime esecuzioni storiche di Messiaen, Ligeti, Penderecki, Xenakis, Henze nel corso delle famose Musiktage di Donaueschingen, il sancta sanctorum dell’avanguardia, dove diede qualcosa come 56 prime assolute.
Lo scrupolo e l’autorità con cui Rosbaud dirigeva le novità del giorno con l’orchestra che aveva plasmato, l’Orchestra della SWR di Baden-Baden, metteva d’accordo compositori che fra loro si vituperavano senza pietà. È famoso il turpe episodio che vide Boulez, Nono e Stockhausen, subito dopo le prime battute di Nachtstücken und Arien di H.W. Henze, alzarsi e abbandonare la sala sdegnati, nonostante Rosbaud, cui dovevano tutto, dirigesse. Al gesto plateale, seguì la scomunica generale dell’autore, reo di aver scritto un pezzo «bello» che piaceva al pubblico, il tutto in barba a quella libertà culturale di cui si riempivano la bocca.
Ma Rosbaud era un uomo senza chiusure: nel suo repertorio c’era grande spazio per le tre corone classiche (Haydn, Mozart e Beethoven), per i romantici tedeschi e i moderni; dirigeva la musica della bestia nera dei teorici dell’avanguardia (Jean Sibelius) e quella del loro idolo (Mahler) in tempi non sospetti; poteva farsi applaudire nelle terre dei vinti (il santuario bruckneriano di München) e in quelle dei vincitori, colonna del neonato Festival di Aix-en-Provence, dove lo snobissimo fondatore Gabriel Dussurget lo volle per un decennio direttore dell’opera simbolo, il Don Giovanni di Mozart nell’allestimento sintetico di Alphonse Cassandre e di storiche riprese di Gluck e Rameau, tutte eseguite con drammaticità senza pesantezze teutoniche e con una cura (compresi i recitativi italiani e francesi) allora molto rara.
Durante l’epoca nazista, Rosbaud, distintosi a Radio Francoforte per l’eclettismo dei programmi e le collaborazioni con i massimi compositori del tempo, Stravinskij e Bartók, Hindemith e Schoenberg, si ritirò in secondo piano, stabilendosi a Münster in Vestfalia e poi a Strasburgo, dove la mano degli occupanti tedeschi imponeva con violenza la germanizzazione dell’Alsazia. A guerra finita gli americani gli offrirono subito un posto alla Filarmonica di München e i francesi lo vollero a Aix e a Parigi, dove per i transalpini divenne le grand mozartien.
Il profilo cauto e il riserbo tenuti durante la guerra avevano origine in un fatto che si è scoperto solo quarant’anni dopo. Vale a dire quando uno scienziato che aveva lavorato al Progetto Manhattan rivelò che Paul Rosbaud, il fratello fisico e giornalista di Hans, reclutato dal servizio segreto inglese MI6, aveva aiutato scienziati ebrei a fuggire dalla Germania, informato gli Alleati degli imminenti lanci dei razzi bomba V2 e dei fallimenti tedeschi sulla bomba atomica. Forse era stato proprio lui a consegnare a Oslo il più famoso resoconto sulle armi segrete naziste redatto dal fisico antinazista Meyer, il Rapporto Oslo.
Nuovi «ritrovamenti» negli archivi della SWR di Baden-Baden consentono di apprezzare la sensibilità fonica (Seconda scuola di Vienna, Sibelius, Stravinskij) e l’asciutta razionalizzazione degli impulsi infuocati della Romantik (Weber e Mendelssohn), la religiosità cosmica di Bruckner e la tragica essenza di Mahler, la misura lucida con cui interpreta l’autore più difficile di tutti, Mozart.
Rosbaud aveva il dono di staccare tempi «giusti», di differenziare gli allegri, con fraseggi e dinamiche misurate frase per frase, sfuggendo alla genericità e all’imbellettamento della routine mozartiana.
Hans Rosbaud morì un mese prima del fratello Paul, a soli 67 anni. Si trovava a Carabbia, non distante dall’altro grande apostolo della musica moderna, il tedesco Hermann Scherchen, che aveva stabilito in Ticino, a Gravesano, la sua casa-laboratorio.