Pur avendo dato i natali a moltissime band di talento, la prolifica (eppur effimera) stagione musicale degli anni 80 ha anche mietuto molte vittime, su tutte le innumerevoli «one hit wonders» di cui il decennio è stato particolarmente prodigo. Eppure, la band britannica dei The Cure resta una delle poche formazioni dal background squisitamente «eighties» ad aver superato più o meno indenne le tempeste che hanno scosso il mondo del pop-rock negli ultimi tre decenni, scavalcando a piè pari qualsiasi successiva moda passeggera.
Così, se, a quarant’anni dagli esordi, il frontman Robert Smith sfoggia ancora la stessa pettinatura volutamente scarmigliata degli esordi (insieme alle ingenti quantità di ombretto e all’immancabile rossetto vermiglio, da sempre applicato con mano incerta), nulla è cambiato neppure nella qualità delle incisioni ed esibizioni live della band: la voce di Smith non ha minimamente risentito del trascorrere degli anni, e alcuni dei suoi compagni d’avventura sono rimasti i medesimi. Su tutti, lo storico amico di gioventù Simon Gallup, antico bassista del gruppo.
Oggi, per tutti coloro che, al pari di chi scrive, possono vantare innumerevoli ricordi giovanili legati alla musica stravagante e un po’ surreale della band, questo attesissimo «double set» (due DVD, integrati, nella versione deluxe, da ben quattro CD contenenti la sola versione audio) risulta effettivamente imperdibile: una vera e propria celebrazione dei quarant’anni di carriera che il gruppo può ormai vantare, e, allo stesso tempo, molto più di questo. The Cure: 40 Live offre infatti le registrazioni complete di due indimenticabili concerti tenuti dai The Cure nell’estate del 2018, qui distinte da titoli suggestivi: e laddove Anniversary è una dichiarata celebrazione del quarantennale della formazione – un tradizionale, epico concertone all’aperto di oltre due ore, del genere che oggigiorno solo una location come Hyde Park può offrire – ecco che Curaetion-25 costituisce invece un modo più originale e sperimentale di ripercorrere il percorso artistico della band.
In occasione della serata finale del 25esimo Meltdown Festival londinese, Smith e i suoi hanno difatti deciso di eseguire due lunghi set caratterizzati dall’inclusione di una sola canzone da ognuno dei loro tredici album, rigorosamente in ordine cronologico – per poi, nella seconda parte dello show, ripetere il processo in senso inverso, arrivando così a un totale di ventotto brani; e le scelte tutt’altro che scontate compiute dalla band fanno sì che la setlist rappresenti un’istantanea peculiare della carriera e del repertorio dei The Cure, in cui l’aspetto più ipnotico e opprimente del loro songwriting brilla con particolare enfasi tramite brani malinconici e riflessivi quali Other Voices, Bananafishbones e Jupiter Crash, perlopiù raramente eseguiti dal vivo. Il tutto arricchito dalla presenza di due pezzi inediti (It Can Never Be the Same e Step Into the Light), a loro volta abbastanza deprimenti da potersi definire come riusciti richiami al passato del gruppo.
The Cure: 40 Live diventa quindi ben più che la solita miscellanea di hit: lungi dal limitarsi a snocciolare il meglio della propria produzione, Smith e compagni si lanciano in un esperimento concettuale curatissimo, come testimoniato dai due DVD che costituiscono il fulcro di questo minicofanetto; in particolare, Anniversary si presenta come una via di mezzo tra un concerto e un happening d’arte moderna, in cui l’esibizione è accompagnata da filmati e immagini – i quali, scorrendo sui maxischermi che, come fondali, circondano la band da ogni lato, ricordano al pubblico la solennità dell’occasione. Per contro, Curaetion-25 rappresenta una vera e propria, intima e claustrofobica «celebrazione dark», tagliata su misura per la gioia dei fan di vecchia guardia. Del resto, spesso si tende a sottovalutare il fatto che i The Cure sono sempre stati, per così dire, una band dal «doppio registro», nel cui repertorio da tempo convivono un’anima gotica e ombrosa – che ne ha fatto il gruppo più amato dalla tribù giovanile dei cosiddetti «goth» anni 90 – e un gusto marcato per il pop a tratti più orecchiabile e radiofonico, ma comunque sempre di alta qualità; ecco quindi che la compilazione di questo live set appare come un arguto tentativo di combinare con grazia le due anime artistiche della formazione, coniugando l’aspetto «commerciale» a quella che resta forse la cifra stilistica più autentica della band.
Così, benché, in ambito rock, le retrospettive siano spesso da considerarsi un affare piuttosto delicato, si può tranquillamente affermare come questo The Cure: 40 Live riesca a superare tutti i rischi e innegabili limiti delle cosiddette «operazioni nostalgia» per assurgere allo status di legittimo, impeccabile omaggio alla carriera di Robert Smith e colleghi: una band che, grazie all’ammirevole professionalità e costanza (e a una grande coerenza artistica) ha fatto la storia del pop inglese degli ultimi quarant’anni.