Ritratto poetico senza scarpe

È un Roberto Donetta inedito quello che ci racconta Mario Casella nel suo romanzo biografico
/ 28.11.2022
di Gian Franco Ragno

Sin dalla fine degli anni Ottanta, quando furono scoperte da Maria Rosa Bozzini a Corzoneso in Valle di Blenio, le lastre di Roberto Donetta (1865-1932) lasciate incustodite per mezzo secolo hanno aperto agli osservatori contemporanei un mondo nuovo. Ne seguì una prima e importante esposizione all’allora Museo Cantonale d’Arte nel 1993, con le stampe artistiche di Alberto Flammer e più tardi la seguente costituzione della Fondazione a suo nome a Casserio, con sede la caratteristica Casa Rotonda, sua ultima dimora – dove attualmente si tengono esposizioni e altre iniziative culturali riguardanti la fotografia.

Tra il 2015 il 2016 una nuova esposizione antologica partì dal nascente Museo d’Arte della Svizzera italiana a Palazzo Reali e approdò alla Fondazione svizzera per la fotografia di Winterthur, riscuotendo un grande successo di pubblico e critica – nonché l’immagine di copertina di «Schweizer Illustrierte» per colui che, in vita, pubblicò pochissimo e campò con la vendita di sementi e di qualche ritratto. In tempi ancora più recenti, sei scrittori – Andrea Fazioli, Noëmi Lerch, Daniele Maggetti, Sara Rossi Guidicelli, Carlo Silini, Maria Rosaria Valentini – hanno dato voce a un corale racconto partendo ognuno da un’immagine di Donetta.

Eppure, a dispetto di quanto l’ha preceduto, Senza scarpe di Mario Casella – documentarista, guida alpina e scrittore – ci regala un nuovo e inedito contributo alla lettura del fotografo e uomo Donetta. Il grande merito è quello di creare un terreno su cui appoggiare ogni singola impressione, ogni punto di partenza creato dall’osservazione di immagini rinate, concentrandosi soprattutto sulla famiglia, che, con il crescere dei figli, andò disgregandosi, lasciando Roberto in solitudine a Casserio. Un modo di procedere che ha permesso all’autore di integrare nello scritto le poche ma significative testimonianze del fotografo, dando vita a un quadro più leggibile della vicenda biografica.

Nella narrazione, attraverso una sorprendente capacità di identificazione, Casella dà voce a Roberto e al figlio più piccolo Saulle nel proiettarsi, quasi cinematograficamente, negli ambienti di inizio secolo – e si percepisce tra le righe una profonda conoscenza delle regioni alpine, delle sue storie e delle sue mitologie, nonché delle sue problematiche sempre attuali. Vi sono riportate correttamente e in successione le tappe della vita del capofamiglia: dall’emigrazione nel Nord Italia, ad Asti, come marronaio, alle vicende più tarde. Riconosco tra le pagine più riuscite la ricostruzione della scoperta della magia della fotografia da parte di Donetta avvenuta presso lo scultore compaesano Dionigi Sorgesa.

Ciò che trova meno spazio è la narrazione dell’avvento della modernità in Val di Blenio – con la ferrovia Biasca-Acquarossa, le Terme della stessa cittadina, l’Ospedale e la Cima Norma di Dangio-Torre. Meno citate le conflittualità con il suo ambiente da parte di un personaggio non sempre accomodante, con le sue rivendicazioni e il suo perenne senso di ingiustizia. Altre tematiche avrebbero potuto essere le alluvioni, complice uno sfruttamento intensivo e avido delle foreste. Avrei riprodotto anche uno dei toccanti ritratti riguardanti le morti bianche, meravigliosamente orchestrati tra fiori e nastri, in cui il primo ritratto del bambino coincide tristemente anche con l’ultimo.

Ma è anche vero che nelle immagini di Donetta ognuno è libero, anzi, è quasi portato, a leggere sé stesso. La ricchezza di particolari che la loro ristampa attuale mette in luce – assai più agevole rispetto alle poche e piccole stampe originali rimaste – fa sì che l’osservatore ritrovi elementi del proprio racconto personale, proveniente dalle generazioni che l’hanno preceduto. L’unica avvertenza di cui tenere conto è tuttavia la seguente: è proprio uscendo dal mito, come è avvenuto nell’operazione di Casella, che si arriva a tratteggiare una dimensione profondamente umana dell’autore di questi scatti. Colui che fu un attento e poetico testimone di un cantone ancora povero, in special modo nelle zone più remote e non toccate dallo sviluppo portato dalla ferrovia del Gottardo.