Lunghi applausi, ripetuti e sinceri della platea per Gianluca Grossi al termine de La città, opera prima del reporter bellinzonese al Teatro Sociale. In effetti non è sempre facile mettersi al servizio di una scrittura immaginata per un pubblico della propria città attento all’ascolto, giocando con un’azione confinata nel senso della parola, nella metafora. Un guanto di sfida lanciato con eleganza dove è proprio la parola all’inizio del percorso di Grossi nella sua esplicita narrazione, pagine che appaiono come riflessioni nate dopo un periodo da cui tutti sembriamo usciti. Come dopo un sonno infestato da incubi, un non-luogo che si risveglia e non è più lo stesso.
Voce narrante in prima persona, Grossi cerca umanità e vita fra ciò che è stato, con la curiosità del giornalista che vuole raccontare la verità. Tre musicisti l’accompagnano, sottolineano, commentano: un contrappunto leggero e deciso, come un antico corifeo. Insinuando dubbi, perplessità, invocando la semplicità delle parole. Al Sociale è tornata la lettura scenica con una storia in cui ci si può identificare, riconoscere. Come con Tea e Snake, i personaggi incontrati dal narratore. Si fa raccontare le loro vite per scoprirne l’essenza, un’umanità che sembrava persa, inghiottita da una terribile pandemia, che Grossi chiama la cosa e che si è impadronita della Città.
Vi abbiamo colto l’allusione di un’umanità in crisi come quella descritta da Saramago in Cecità, dove l’epidemia è un espediente per riflettere sull’uomo, sulle relazioni interpersonali, sui rapporti di forza e una comunità esasperata, costretta in uno spazio ridimensionato, alla ricerca di una casa. Ci si poteva rispecchiare. Anche in quel contesto immaginato, non così distante dalla realtà, dove le parole emanano odori di follia, dove i pazzi sono da stanare. Ma oltre tutto ciò c’è la vita, un’altra aria sulle note di una Rumba. Una rappresentazione che ha fatto i conti con una lettura appassionata e calibrata al punto giusto e ha convinto il pubblico bellinzonese. Merito del narratore e della sua scrittura, degli attori, del coro dei musicisti.
Un traguardo meritato per Gianluca Grossi con Margherita Saltamacchia, Massimiliano Zampetti, le musiche scelte e adattate da Danilo Boggini (fisarmonica) con Claude Hauri (violoncello) e Anton Jablokov (violino).