Ridere in tempi di pandemia

LongLake - Come raccontare con ironia l’esperienza del lockdown: incontro con Paolo Cevoli, comico romagnolo
/ 10.08.2020
di Enrico Parola

«Penso proprio che noi romagnoli siamo stati tra le categorie più colpite dal lockdown». L’affermazione, autorevole, è di un romagnolo doc, anzi, di colui che la regione Emilia-Romagna ha scelto come testimonial: Paolo Cevoli. Però il motivo che adduce non è il crollo del turismo causa Covid: «Sa che cosa ha voluto dire per noi evitare gli assembramenti? Noi proprio non ce la facciamo: se parliamo con una persona dobbiamo almeno metterle una mano sulla spalla, se stiamo passeggiando la prendiamo anche sottobraccio, se si rimane distanti sembra che ci si stia antipatici. Per noi la vita è una gita, va sempre vissuta in compagnia: qui si mangia perché si è felici, il divertimento è una religione, siamo i terroni del Nord, ma lavoriamo tanto e di solito ci lamentiamo poco».

Infatti proprio durante il lockdown l’Emilia Romagna gli ha commissionato la serie Romagnoli dop, dove il comico divenuto famoso a Zelig grazie ai monologhi surreali di Cangini Palmiro, assessore delle attività varie ed eventuali del comune di Roncofritto, illustra con la sua acuta ironia i vizi e i difetti dei romagnoli. Ne è nato uno spettacolo che sta portando in giro per l’Italia e non solo: giovedì scorso «la lingua più parlata dopo l’inglese nei paddock del Motomondiale» è risuonata alle Terrazze Foce, per la gioia del pubblico del LongLake che ha imparato i tre ingredienti fondamentali del romagnolo verace: «Sburonaggine: l’essere sboroni, il voler sempre dimostrare di essere di più e di avere di più. Pataca: l’essere maldestro e un po’ coglione. Ignorantezza: non è sinonimo di ignoranza, è il mettersi a fare le cose prima ancora di sapere come si fanno».

Tra tante risate, non poche riflessioni. Cevoli, figlio di albergatori di Riccione, laurea in giurisprudenza e un discreto successo imprenditoriale prima di darsi completamente allo spettacolo, negli ultimi anni ha unito il sacro e il profano con spettacoli (e poi libri) in cui fa ridere e riflettere su storia, fede e arte: basti pensare a La penultima cena, Il sosia di lui (che sarebbe Mussolini), Perché non parli (dove è Cencio, apprendista muto nella bottega di Michelangelo) o la Bibbia. E così anche in questo tour estivo non mancano riferimenti a come lui ha vissuto questi mesi: «Il lockdown mi ha colto nel mezzo della tournée con La sagrada famiglia. Non è stato facile fermarsi senza sapere quando si sarebbe ripreso, però si è rivelato un periodo intenso e pieno. Non vorrei dire di aver vissuto questo come una sfida perché è ormai una frase abusata, ma è andata proprio così. In 34 anni di matrimonio non avevo mai vissuto a così stretto contatto con mia moglie e non avevamo mai giudicato così da vicino il lavoro l’uno dell’altro; è stato un tempo di splendida fioritura seppur non senza spine, nello spettacolo lo racconto a modo mio. Mia moglie ha un atelier di vestiti da sposa in centro a Bologna e ha dovuto decidere se chiudere e mettere in cassa integrazione le sue cinque sarte o tenere duro: ha iniziato a produrre mascherine di alta qualità. Anch’io ho dovuto reinventarmi: nello staff c’è gente di Milano, Bologna e Rimini, mai fatta in vita nostra una call-conference, ora invece siamo esperti di zoom. Poi la serie video sui Romagnoli dop e la Bibbia, e ne ho iniziata un’altra che chiamerò Capriole: storie di gente che già prima del Covid aveva vissuto il suo lockdown, perdendo il lavoro o l’azienda, sbagliando e finendo in carcere. Però queste cadute hanno rappresentato per loro la possibilità di una risalita, quasi di una rinascita. Per questo il titolo Capriole: come Dante che arrivato in fondo all’Inferno fa la capriola, si ribalta di 180° e torna a rivedere le stelle».

Ora Cevoli sta tornando a rivedere il pubblico: «Da una parte fa tristezza non vedere i soliti assembramenti di pubblico, vedere la gente distanziata; però c’è un coinvolgimento straordinario, profondo, raro, e questo è bellissimo: la gente ha bisogno di alzare lo sguardo».