Bibliografia
Remo Bassetti, Offendersi, Torino, Bollati Boringhieri, 2021


Reti di insulti

Saggio abbondante e documentato su un sentimento antico e le sue rovinose derive nella modernità
/ 12.07.2021
di Stefano Vassere

«Il dire male più corrosivo si manifesta per lo più in frasi strutturate, forbite, che accumulano il senso nella parte non esplicita, e grazie al filtro del sarcasmo presentano persino un’apparenza gentile. Dentro a un grazie, non serve che tu rimanga, può essere nascosto uno sprezzo che fa rigirare nel letto per anni».

L’offesa, ma pure l’autostima, il narcisismo, la sensibilità, la frustrazione, sembrano essere fenomeni sociali tipici della nostra epoca forse più di altre. Eppure il passato ne aveva codificati funzionamento e pratiche risolutive, istituendo e istruendo per esempio l’abitudine del duello (alla fine dell’Ottocento, nella sua esemplare collana dei manuali, Ulrico Hoepli stampò un Manuale del duellante curato da Jacopo Gelli). Sta di fatto che queste ossessioni continuano a farci compagnia; basta pensare all’ormai sovrabbondante tema del-l’offesa in Rete, in tutte le sue forme ma soprattutto nelle specializzazioni rispetto all’offesa tradizionale tout court.

Risulta dunque in linea naturale con i tempi del dibattito l’uscita di Offendersi di Remo Bassetti, un libro molto ampio che affronta il mondo dell’offesa in modo sistematico lungo quasi trecento pagine e con generosità di esempi di prima mano e tratti dalla letteratura di ogni tempo: dai Greci (ovvi praticanti di parabole del comportamento degli uomini) fino agli autori contemporanei e al cinema. Lo stesso dominio temporale è come dilatato, dall’offesa in senso lato e generale a quella più moderna e tecnologizzata che corre sulle reti sociali.

Remo Bassetti è ricordato per essere stato a capo una ventina di anni fa della (troppo) breve stagione di un indovinato periodico che si chiamava «Giudizio universale», un mensile (è giustamente citato nel passo del libro dedicato alle recensioni e alle eventuali offese che ne seguono) che si occupava di recensioni di tutto, dai classici libri e cd a «ospedali, personaggi pubblici, scuole e potenzialmente qualunque cosa esista nel cosmo». Lo scopo era costringere i numerosi e qualificati collaboratori a formulare appunto un giudizio, con il rischio evidente di irritare, seccare, offendere, ma anche a condividere una sorta di «teoria del giudizio», provata negli ambiti più disparati. È chiaro che delle sfumature e dei meccanismi quell’impresa rappresentò una specie di banco di prova, che ha probabilmente fornito all’autore un’attrezzatura fuori dal comune sull’argomento.

Spazio puntuale è quindi dato alla trattazione dei modi attraverso i quali si offende e ci si offende: l’insulto, la violazione dei confini interpersonali e fisici, il non accorgersi del prossimo rapportandocisi di conseguenza. Offendere può non implicare necessariamente intenzionalità e molta attenzione sarà rivolta al contesto dove è messo in scena il processo comunicativo. Del contesto fanno parte l’offensore e a pieno titolo l’offeso; e quest’ultimo ha un suo ruolo nella concezione o meno dell’offesa: è chiaro che l’offeso ci mette in questo senso del suo ed è parte attiva nei risultati complessivi. Offendersi ha infine suoi funzionamenti cognitivi e declinazioni culturali: lingue e paesi hanno corredi offensivi tutti loro.

Per l’urgenza del tema, il lettore è portato a porre interessato occhio su alcune sezioni di questo libro: gli aspetti linguistici, il linguaggio d’odio e il politicamente corretto. Qui, tra le mille direzioni, è critico l’emergere di un paio di vie nuove da percorrere a proposito di domini sui quali già molto si è detto: l’importanza crescente del pubblico che assiste all’offesa, che nelle reti sociali è particolarmente qualificabile e identificabile e partecipa nella non secondaria sede dei commenti ai post, e la grave misoginia sessista degli insulti. Secondo «un’indagine dell’Osservatorio Italiano sui Diritti, solo il 6% degli insulti rivolti a un uomo sono sessuali contro il 59% di quelli rivolti a una donna» e «gli insulti verbali riguardano una donna anche quando il destinatario è un uomo», come nel caso di allusioni a rapporti dell’insultato con la propria madre o lo statuto sociale e professionale della madre stessa.