Nel grigio squallore dell’albergo in rovina «Zur schönen Aussicht» dove, nonostante tutti continuino a stappare bottiglie, tappezzeria e tovaglie sono sudicie e le lenzuola strappate, alloggia da tempo la non più giovane Ada von Stetten, la quale consuma le giornate concedendosi ai più diversi amanti. La baronessa è un’alcolizzata, ma è anche l’unica ospite pagante, e come tale oramai declinata secondo istinti di potere su ogni maschio del «Belvedere», compreso Strasser, il direttore. Agli ospiti si aggiungono in un secondo tempo un commesso viaggiatore, il fratello di Ada che ha perso tutto al gioco e la giovane Christine, innamoratissima e incinta di Strasser, che di lei non ne vuole sapere, e contro la quale, con l’aiuto degli altri ospiti, arriverà a montare una sciagurata, comoda calunnia. Il gioco perverso continuerà tuttavia solo fino a quando non si scoprirà che Christine è diventata una ricca ereditiera.
L’azione di Zur schönen Aussicht (Hotel Belvedere) di Ödön von Horváth si svolge in un’ambientazione tesa fortemente a disegnare le specifiche caratteristiche della nobiltà decaduta e della borghesia mitteleuropea ancora perduta nelle paludi dell’Impero Austro-Ungarico. Siamo al cospetto di una commedia ironica, grottesca, amara, «en noir» come tutti i lavori di Horváth e, a quasi cent’anni di distanza, con non poche risonanze con l’Europa di oggi e gli egoisti schiamazzi piccolo-borghesi dell’odierno dilagante populismo. Horváth parla un linguaggio asciutto, essenziale, crudo, ma denso di allusioni inattese che l’intensa interpretazione degli attori rende ancora più spietatamente attuali. Un’ottima produzione, questa presentemente in cartellone allo Schiffbau, ovvero negli spazi fuori le mura della Schauspielhaus di Zurigo, e con una regia meditata, all’insegna della fedeltà al testo analizzato nelle sue pieghe più profonde.
Barbara Frey rende appieno, grazie anche alle scene di Bettina Meyer (costumi di Bettina Walter) e al light design di Rainer Küng, l’atmosfera di decadenza di un hotel a due stelle e, soprattutto, dell’epoca in questione, chiaro presagio di inenarrabili orrori. Ferma e coerente la guida delle dramatis personae, del protagonista Strasser, un insuperabile Michael Maertens, e degli altri personaggi comprimari, tutti interpretati in maniera eccellente: Friederike Wagner nei panni dell’allucinante e allucinata baronessa, Carolin Conrad in quelli dell’ingenua, ma dignitosa Christine, Hans Kremer nella parte del barone von Stetten, Markus Scheumann in quella di Müller, Nicolas Rosat nel ruolo di Karl ed Edmund Telgenkemper in quello di Max. Applausi calorosi e interminabili all’indirizzo di tutti i partecipanti in occasione della première. Repliche fino a metà aprile.