Cosa ne sappiamo della guerra? Cosa ne sappiamo della fame, dell’odore che resta nell’aria dopo le esplosioni? Il sindaco di Mariupol parla di scenari medievali «la gente beve neve e brucia legna». Se raggiungerà anche noi, cosa faremo? Impossibile anche solo da immaginare. Proprio come per Annette Melot-Henry lo è stato calarsi nei panni dei leningradesi quando lo storico Daniil Aleksandrovič Granin le ha raccontato dell’assedio riprendendola per la mancanza di fiducia in sé stessa: «Lei non sa nulla, non può sapere. Avrebbe anche potuto sorprendersi, compiere atti che non avrebbe mai immaginato di compiere. Non deve dimenticare che sarebbe stata trascinata dalla società intera». La vera salvezza della gente di Leningrado è stato il nutrimento dello spirito «molti sono sopravvissuti grazie alle loro ricchezze interiori». Oggi, invece, cancelliamo spettacoli e concerti, vietiamo Dostoevskij nelle università. Pensare che l’ebreo Leonid Cypkin, nato a Minsk, sfuggito alla campagne antisemite staliniane (che gli uccisero un fratello), non solo adorava lo scrittore russo ma gli dedicò un romanzo così bello (Estate a Baden-Baden) che Susan Sontag se ne innamorò a tal punto da definirlo tra i più originali ed entusiasmanti del Novecento. L’arte, la cultura intesa come collante, come trait d'union dell’umanità anzi, spingiamoci oltre, come forma di sopravvivenza è l’immagine poderosa che ci consegna l’intensa pubblicazione firmata da Annette Melot-Henry per Pagine d’Arte dal titolo La resistenza dell’arte durante l’assedio di Leningrado.
Cosa l’ha spinta a occuparsi dell’assedio di Leningrado?
Per molto tempo ne ho conosciuto soltanto il racconto sommario dei libri di storia: le date, il numero dei morti, la vittoria dell’Armata Rossa sul nazismo. Questa vicenda fossilizzata dal potere costituito e soppiantata, nella narrazione occidentale, dalla battaglia di Stalingrado, non mi era chiara. Quando insegnavo portavo spesso gli studenti in giro per la città spiegandone la fondazione con Pietro il Grande, il periodo di Caterina II, gli ultimi zar, la rivoluzione del 1917, ma alla Seconda guerra mondiale facevo soltanto qualche accenno. Poi, alla fine degli anni ’90, quando mi sono interessata alla fotografia sovietica, sono stata travolta dalle immagini dell’assedio e ho voluto saperne di più. Ad aprirmi gli occhi sono stati Blokadnaya Kniga (Le voci dell’assedio), il libro di A. Adamovitch e D. Granin e la visita al Museo della Difesa, dove avevo visto la ricostruzione di un tipico appartamento «blokadnik» con la stufa, i mobili e gli oggetti familiari. Sembrava di rivivere quelle atmosfere, all’improvviso sentivi il suono di una sirena o il ticchettio del metronomo che sostituiva la radio quando non trasmetteva. Per le persone chiuse nell’oscurità delle loro case congelate, il ticchettio familiare del metronomo era un segno di vita al quale aggrapparsi disperatamente. A quel punto ho sentito di voler conoscere la loro storia, capire a quali forze misteriose gli esseri umani sono in grado di attingere quando sono sull’orlo dell’abisso.
Il libro che lei cita faticò a trovare un editore, perché?
Bisognava rispettare la narrazione ufficiale della grande guerra patriottica che celebrava gli eroi e le vittorie ma taceva gli orrori vissuti dagli abitanti. Proprio loro in questo libro sono i protagonisti e per la prima volta raccontano la loro vita quotidiana: la fame, il freddo, le malattie, la violenza, l’abbandono, tutto quello che per lungo tempo avevano tenuto nascosto come una sorta di vergogna. Le edizioni locali di Leningrado si rifiutarono di pubblicarlo perché non era coerente, non menzionava la vittoria militare e non dava il giusto ruolo al partito. A pubblicarlo, infine, fu il giornale «Novy Mir».
Chi è Alexander Rubashkin?
Quando avevo già iniziato a interessarmi alla vita degli abitanti della città assediata, appresi da un sito russo che era appena stato pubblicato un libro dal titolo Golos Leningrada (La voce di Leningrado), in cui si raccontavano la storia e il ruolo della radio in quel periodo. Una volta letto contattai subito l’autore Alexander Rubashkin e ci incontrammo diverse volte a San Pietroburgo. Grazie a lui ho conosciuto molte persone, memorabile per me è stato l’incontro con lo scrittore Granin, ho potuto visitare la Casa della Radio e scoprire l’incredibile museo dedicato alla storia dell’assedio. Commosso dal mio interesse, Rubashkin mi disse che questa storia andava raccontata. Ci ho pensato a lungo e l’ho fatto.
A condurla nel cuore dell’assedio sono stati anche gli scatti di Boris Kudoyarov. Cosa hanno suscitato in lei?
I suoi ma anche quelli di Mikhail Trakhman, Nikolai Khandoguine, David Trakhenberg e altri. Le loro fotografie mostrano donne che trascinano morti legati sulle slitte come fossero delle mummie, donne che prendono l’acqua facendo dei buchi nel ghiaccio che ricopre la Neva. Ci raccontano le indicibili difficoltà che le persone hanno affrontato ogni giorno per 900 giorni. Mi hanno molto colpita anche i dipinti, gli acquerelli, i disegni. Nel libro ci sono anche i pittori che lavoravano instancabilmente mentre molti morivano di fame. La produzione creativa in quei tre anni dal 1941 al 1944 è stata eccezionale in tutte le arti.
Per infondere coraggio alla radio si trasmettevano poesie...
La radio era molto importante, non solo perché informava aggirando la censura, ma perché teneva alto il morale della gente. I giornalisti dimostrarono un coraggio eccezionale, condividevano il cibo e davano coraggio agli ascoltatori. Ogni giorno, alla radio, Olga Bergholtz recitava le sue poesie e la sua voce calda entrava nelle case. Le sue poesie, come quella in cui si rivolge alla sua vicina Daria Vlassievna, parlavano alla gente. Raccontava gli orrori che le persone vivevano ogni giorno ma cantava anche un futuro fatto di pane bianco, vino e orgoglio. Questi sono alcuni dei suoi versi che prediligo: «Cosa può fare il nemico? Distruggere e uccidere. È tutto? Ma io posso amare».
Non c’era solo la radio. Le case editrici non smisero mai di pubblicare e le biblioteche rimasero aperte. Ci racconti di Maria Machkova.
Durante l’assedio si leggeva ovunque, anche a lume di candela. Maria Machkova era a capo del dipartimento acquisizioni della Biblioteca Saltykov-Ščedrin, poi diventata Biblioteca Nazionale Russa. Una curatrice che l’ha conosciuta me l’ha descritta con grande emozione. Maria Machkova era un’eroina, dopo essersi occupata della famiglia, ogni mattina arrivava in biblioteca e scuoteva tutti. Il personale, molto indebolito, a volte mancava di entusiasmo, ma lei ne aveva abbastanza per tutti, aveva la voce ferma di chi non dubitava. Si occupava dei lettori nelle sale di lettura dove non c’erano più finestre, riordinava i cadaveri che si accumulavano nell’ingresso. Andava in slitta a recuperare i libri di chi era deceduto salvando collezioni che altrimenti sarebbero andate perdute per sempre. Maria Machkova è una di quelle donne che dovremmo ricordare e celebrare.
Nella città assediata si dipingeva, si leggeva ma è possibile che l’Orchestra sinfonica della radio nel 1942 suonò la Settima sinfonia di Shostakovich?
Sì, ci sono riusciti ed è stato un miracolo. Prima però i musicisti erano stati curati e rifocillati. C’era una precisa volontà politica che questo concerto avesse luogo, le autorità fecero ciò che era necessario al prezzo però di una disciplina militare. Solo la morte era considerata un motivo valido per assentarsi dalle prove. Bisognava impressionare il nemico, mostrargli che la città resisteva e la vita culturale continuava. Dopo la guerra i tedeschi ammisero di essere stati scoraggiati, pensavano che non sarebbero mai stati capaci di sconfiggere una città ancora capace, in quelle condizioni, di organizzare un tale concerto.
In questi giorni ha mai fatto dei parallelismi con l’assedio e cosa ne pensa del boicottaggio di artisti e intellettuali russi in Europa?
Vedendo le forze russe avanzare da tutti i lati verso Kiev ho subito pensato a Leningrado. Ma possiamo imparare le lezioni dal passato? Per quanto riguarda le misure contro gli artisti sono profondamente indignata. La grande maggioranza disapprova la guerra e alcuni scrittori come Lyudmila Ulitskaya lo hanno già chiarito. Sono d’accordo con il regista ucraino Sergei Loznitsa quando dice che di fronte alla barbarie di questo conflitto non dobbiamo perdere la testa, non dobbiamo giudicare le persone in base ai loro passaporti ma in base alle loro azioni.
Bibliografia
Annette Melot-Henry, La resistenza dell’arte durante l’assedio di Leningrado, Capriasca, 2021, Pagine d’Arte.
Dove e quando
Il 22 maggio l’autrice presenterà il libro al LAC nella Sala Refettorio alle 16.00.
Arrivano gli artisti, l’acquerello su carta di Solomon Samsonoviic Boim, 1941. In basso a sinistra invece un primo piano dell’autrice, professoressa di russo e traduttrice.