R.E.M., nulla di nuovo

Nuove avventure in hi-fi: la ristampa celebrativa dei R.E.M. propone poche novità
/ 06.09.2021
di Benedicta Froelich

Una delle meno fortunate conseguenze dei lunghi, molteplici lockdown pandemici sta nel fatto che oggi più che mai, i cosiddetti «cofanetti celebrativi» hanno vissuto l’ennesimo revival commerciale; e la compianta formazione degli statunitensi R.E.M., abituata a sfornare riedizioni commemorative del proprio catalogo in occasione di anniversari più o meno significativi, non fa eccezione.

Stavolta, però, è il turno di uno degli album forse meno celebri della discografia del gruppo, ovvero New Adventures in Hi-Fi: all’epoca della sua uscita, nel ’96, quest’album – il decimo, per la band – venne salutato con un certo entusiasmo, sebbene non da parte di tutti: in termini stilistici, costituiva infatti un ideale seguito del precedente Monster (1994), con cui i R.E.M. avevano abbandonato il sound più orecchiabile e radiofonico (a cui dovevano il successo di capisaldi da classifica quali Green e Out of Time) a favore di uno stile più hard rock, influenzato da esponenti del grunge quali Pearl Jam e Nirvana – una virata che alcuni non avevano apprezzato.

Allora non era possibile immaginarlo, ma questo sarebbe stato l’ultimo album inciso dai R.E.M. come quartetto, prima della defezione del batterista Bill Berry a causa di un aneurisma al cervello; eppure, tale disgrazia avrebbe, in realtà, concesso al gruppo la possibilità di reinventarsi, producendo un capolavoro quale Up (1998), senz’altro l’opera più affascinante e complessa della band, a tutt’oggi sottovalutata dai più a causa delle vendite non entusiasmanti.

In tal senso, New Adventures in Hi-fi potrebbe considerarsi come un album di transizione, a cavallo tra la sbornia rock e la svolta elettronico-cantautorale a venire; certo è che riascoltato oggi, in questa versione celebrativa intitolata semplicemente New Adventures in Hi-Fi (25th Anniversary Edition), si conferma per ciò che, del resto, è sempre stato nelle intenzioni degli autori: un ottimo disco di puro rock, senza troppe pretese o ambizioni, se non quella di soddisfare le richieste implicite in tale genere. E se ciò può costituire una delusione per i fan più «intellettualizzati», all’interno di tale equazione l’album rivela comunque alcune gemme che soltanto una band dello spessore e profondità dei R.E.M. avrebbe potuto concepire: ecco quindi i due brani senz’altro più significativi dell’intera tracklist – l’eccellente traccia d’apertura, How the West Was Won and Where It Got Us e, soprattutto, il singolo di lancio dell’album, l’epica ballatona nichilista E-Bow the Letter, cantata in coppia con Patti Smith, idolo giovanile di Stipe.

Vero è che, accanto a queste gemme, molta della tracklist si snoda tra brani meno memorabili, accomunati dal carattere un po’ banale degli arrangiamenti ostentatamente rock: ecco quindi pezzi senza infamia e senza lode come Bittersweet Me (secondo singolo estratto dal CD), Departure, Undertow e Binky the Doormat, che quasi tendono a confondersi tra loro nella memoria dell’ascoltatore. Certo, la professionalità dei R.E.M. fa sì che ognuna di queste tracce costituisca comunque un più che valido esempio di pezzo rock da manuale – ma l’impressione generale è che a mancare sia proprio quell’intensità a cui la band aveva abituato i fan. E sebbene Stipe e compagni dimostrino di avere ancora qualche asso nella manica (Wake Up Bomb, notevole per la violenza pressoché epica del cantato di Stipe, e la destabilizzante Leave, il cui incipit ingannevolmente leggiadro lascia posto a un vero e proprio tour de force), va comunque meglio con i brani lenti (New Test Leper, il languido Be Mine e, soprattutto, la delicata ballata Electrolite).

In termini di materiale aggiuntivo, la formula resta quella di sempre: oltre alla solita versione rimasterizzata dell’album originale, questo cofanetto offre all’ascoltatore uno sguardo più approfondito sul processo creativo tramite il secondo CD, composto di rarità e B-sides, principalmente versioni live del ’95-’96 (ma anche piccole gemme, quali l’alternate version del sopraccitato Leave, qui spogliato di ogni velleità hard rock e convertito in un lento struggente, dagli accenti trascendentali). Il «bonus material» include poi un DVD Blu-ray, contenente i relativi videoclip e un lungo filmato pubblicitario realizzato per promuovere l’album; il tutto completato da un libro hardcover di 52 pagine, illustrato da foto inedite e dalle note di Mark Blackwell, accompagnate da testimonianze di prima mano da parte della band e di illustri colleghi.

In conclusione, si può dire che i R.E.M. abbiano svolto il proprio compito alla perfezione, pubblicando un cofanetto gradevole sia per i fan di vecchia data che per chi magari, al tempo della pubblicazione di quest’album, non era nemmeno nato; e considerando che stiamo parlando di una band molto amata, e oggi, ahimè, rimpianta, questo box set resta un ottimo modo per ricordare ciò che i R.E.M. hanno rappresentato nella seconda metà degli anni 90, prima di veleggiare gradualmente verso la fase conclusiva della loro carriera.