È fuori di dubbio che il tema del rapporto tra la letteratura e realtà come l’ambiente, il riscaldamento climatico, il rapporto tra l’uomo e gli altri organismi del mondo, la crisi ecologica, l’eventuale apocalissi ambientale ecc. sia tale e talmente presente all’attualità da potere essere considerato ormai un contenuto mainstream, se non addirittura à la page, per non dire una moda. Non c’è dibattito o simposio nel quale esso non faccia capolino, non c’è corso di laurea in letteratura di qualsivoglia lingua che non preveda almeno un corso sull’ecocritica o sul rapporto tra letteratura ed ecologia.
Sicuro, siamo d’accordo sul fatto che analogamente a quello che succede per tutte le catastrofi e per le apocalissi, il disastro ecologico abbia necessità di essere in un qualche modo rappresentato e raccontato, al di là dell’esistere in sé. L’impresa è però tutt’altro che comoda; prima di tutto perché su questo tema si concentra la letteratura ma anche la sua sorella saggistica, e poi perché, come dice Jonathan Franzen, «altri tipi di apocalisse, religiosa o termonucleare o asteroidale, hanno almeno la nitidezza binaria del morire: il mondo esiste e un istante dopo non esiste più. L’apocalisse climatica, al contrario, è caotica. Prenderà la forma di crisi sempre più gravi che peggioreranno in modo disordinato». Una situazione narrativa che se non vuole entrare nel pericoloso sottomondo dei generi (e di quello apocalittico-fantascientifico in modo particolare) si trova costretta a descrivere un processo tutt’altro che immediatamente spettacolare, dove il danno avanza per tappe, in un procedere tutto sommato «lento, privo di momenti emblematici e figure iconiche». Insomma la storia della deriva ecologica del Pianeta non è una storia facile da raccontare: una melassa più che una bomba.
In molti, tuttavia, ci hanno provato e ci provano. E l’antologia Racconti del pianeta Terra, apparecchiata da Niccolò Scaffai e da poco pubblicata, rappresenta per il panorama italiano un ottimo punto di partenza; per la rassegna ragionata e ordinata dei testi e degli autori ma anche per un puntuale tessuto connettivo. A cominciare dalla profondità dei sondaggi storici: l’interesse della narrativa per l’ambiente e gli altri abitanti del Pianeta non è dei decenni più recenti, e la serie si apre dunque con il Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo di Giacomo Leopardi, dove si narra dell’autodistruzione degli umani, sopraffatti dall’illusione che «le cose del mondo non avessero altro ufizio che di stare al servigio loro».
Tutta la rassegna ha un evidente passo cronologico: da Jack London, a Primo Levi, a John M. Coetzee, Anna Maria Ortese (il testo sulle Piccole Persone è di registro elegante e commovente), Jonathan Safran Foer, Mario Rigoni Stern, Martin Amis, Amitav Gosh, Margaret Atwood, Jonathan Franzen, parecchi altri. Il bello di questo libro è che, accanto alla serie di autori che raccontano la deriva ambientale nella forma della fiction, alcuni si preoccupano, a un livello superiore, di «raccontare come si racconta» l’ambiente, il testo sul testo che è sezione pregevole di questo libro.
È in questa parte che Amitav Gosh si interroga su che cosa espella il cambiamento climatico dalla letteratura ritenuta seria; ed è qui che Jonathan Franzen ci enuncia quello che è probabilmente il miglior ragionamento dell’intera serie e che fa più o meno così: dato che la scienza (sorella maggiore di questi generi) ci dimostra ormai con tutti i dati che non c’è davvero più tempo, che siamo oltre la soglia dell’evitabile, tanto vale cercare di fondare una società che sia pronta ad affrontare il disastro con azioni «di miglioramento del mondo»: democrazie e apparati di giustizia che funzionano, elezioni eque ovunque, uguaglianza economica, attenzione rispettosa verso le migrazioni e gli stranieri, stampa libera, lotta all’odio in Rete. Una società sana al cospetto di un pianeta malato. Un mondo nuovo, insomma.