I romanzi di Peter Stamm non forniscono risposte, sollevano domande, alimentano dubbi. L’abilità dell’autore turgoviese sta nell’alzare quel telo bianco davanti al quale si svolgono le nostre comuni vite, si saldano le dolci consuetudini delle nostre relazioni, per mostrarci come al di là vi sia dell’altro, un’altra verità che, nei suoi romanzi, si materializza all’improvviso facendo crollare tutte quelle certezze e quei punti di riferimento vissuti, fino a un attimo prima, come capisaldi di un’esistenza.
La dolce indifferenza del mondo che nel 2018 gli è valso il Premio svizzero del libro, uscito ora in italiano per Casagrande, conferma lo stile peculiare dell’autore. La sua scrittura asciutta e precisa abbina atmosfere sospese e voluttuose a nude circostanze e smuove quel sottobosco psicologico che sottende l’esistenza umana. La storia è quella di Christoph e del suo doppio più giovane Chris, dell’amata Magdalena e del suo doppio Lena. Entrambi ambiscono a diventare scrittori, entrambe sono attrici di teatro. Il protagonista si muove tra il presente e i suoi ricordi del passato, tra sé stesso e il suo doppio secondo la morale che per ognuno di noi ce n’è un altro uguale eppure diverso.
Per questo all’inizio dell’intervista non posso fare a meno di chiedere a Peter Stamm se sto parlando davvero con lui «Sono io, quello vero – mi rassicura – siamo tutti molteplici, siamo ciò che siamo ma siamo anche altro. Io esisto in quanto figlio di mia madre, compagno della mia compagna, padre dei miei figli e ogni volta nella testa delle persone, nel loro modo di vedermi, sono diverso, sono una persona differente. Poi esisto per me stesso e qui, di nuovo, non sono lo stesso Peter Stamm degli altri. Fisicamente ne esiste solo uno. In questo modo si può leggere anche il doppio nel romanzo che mette a confronto il giovane (che rivediamo attraverso i ricordi) con il più anziano Christoph, presente fisicamente. Anche il giovane Peter Stamm è ancora vivo nella mia testa».
A ricoprire un ruolo centrale in questo gioco di doppi è il tempo, la percezione che ne abbiamo e i suoi effetti. Per orientarci l’autore in apertura ci regala una bussola: «Stavamo là, sdraiati, senza muoverci. Ma sotto di noi tutto si muoveva, e ci muoveva dolcemente, su e giù, da un lato all’altro». La citazione beckettiana tratta dall’opera in un unico atto L’ultimo nastro di Krapp, ritrae un anziano scrittore che ripercorre e ricorda il suo passato riascoltando le bobine registrate negli ultimi 30 anni. È un uomo solo, sfatto dall’esistenza che si interroga sull’amore e sulla scrittura e deride sé stesso per l’effimero tentativo di dare un senso alla sua vita «il protagonista è intento a riascoltare la sua voce da giovane mentre si chiede se ha agito nel modo giusto o se ha sbagliato, se doveva decidersi in favore dell’amore o della scrittura. Il rapporto contraddittorio tra amore e scrittura gioca un ruolo importante in molti dei miei testi: chi sceglie l’amore deve rinunciare alla scrittura o viceversa?».
In una narrazione articolata in salti temporali, rimandi tra doppi e variazioni di luogo (Stoccolma, Barcellona passando per l’Engadina) crescono la tensione e le perplessità di Christoph e dei più giovani Chris e Lena ai quali il protagonista racconta la sua teoria per cui tutto si sta ripetendo. Lo stesso Christoph inizia a dubitare di quel che dice e si chiede se non stia impazzendo. Se lo chiede a tratti anche il lettore e viene il dubbio che l’autore punti a destabilizzarlo: «la parola che sceglierei è disorientare. Mi fa piacere se le domande che sollevo aiutano i lettori ad abbandonare le loro sicurezze quotidiane, a chiedersi che cosa accadrebbe se le cose fossero diverse. Per me il mondo è un luogo strano, ci sono così tante cose che non capisco e ne sono affascinato, trovo eccitante il pensiero che ogni cosa sia più misteriosa di quanto si pensi. A partire dal tempo, che cos’è il tempo? Esiste ancora l’uomo che ero 30 anni fa? Nell’intento che si divertano e possano trarne beneficio, esorto le persone ad abbandonare la loro zona di comfort».
Centrale, come in molti altri testi dell’autore, sono l’amore e la relazione di coppia messa sempre in discussione tra verità e apparenza «Alcune persone hanno definito i miei libri postmoderni, io credo che non si possa raccontare solo una storia nella quale si dice è successo questo e poi quell’altro. Le mie storie racchiudono altre storie, realtà diverse e possibili contemporaneamente. Soprattutto negli ultimi testi è diventata più forte la dimensione irreale, quella che scardina la realtà. Nella letteratura sono possibili cose che non lo sono altrimenti. Mi piace cogliere le opportunità che la letteratura offre».
C’è un punto cruciale nella storia in cui Christoph non riesce più a sopportare il suo doppio, sente accrescere nei suoi confronti una forte gelosia e un odio che lo portano a sviluppare pensieri omicidi. Ricorda la scena del romanzo di Oscar Wilde in cui Dorian Gray fa a pezzi il suo ritratto, quel ritratto sghignazzante che come uno specchio lo confronta con i suoi errori, le sue brutture, la consapevolezza che il tempo passa e la giovinezza non ritorna «c’è questa gelosia verso l’io più giovane ma anche lo stupore verso ciò che siamo stati. Per il nuovo libro al quale sto lavorando mi è capitato di rileggere alcuni miei carteggi di trent’anni fa e sono stupefatto dall’uomo che ero». In bene o in male? La domanda sorge spontanea. «Preferisco non dirlo!» risponde Peter Stamm con una risata.
Sin dall’incipit «Viene a trovarmi spesso, di solito la notte» si ha la sensazione che Agnes, la protagonista del romanzo che lo rese famoso ai suoi esordi («Agnes è morta. L’ha uccisa un racconto»), sia tornata. «C’è un legame molto forte tra Agnes e Lena, si potrebbe dire che sia un nuovo racconto, un modo diverso di trattare lo stesso tema, di sollevare in parte le stesse domande». Ma c’è una differenza sostanziale, questa volta la donna vince o per meglio dire «la realtà vince sulla letteratura perché Lena si sottrae alla finzione, rifiuta di essere parte della storia nella quale Christoph la coinvolge». Lo saluta nella hall dell’albergo gira i tacchi e se ne va. In questo modo «la realtà di Lena ha la meglio sulla storia di Chris».
Non solo, Agnes ha anche il merito dell’idea iniziale del romanzo. Peter Stamm mi racconta di essere stato a Stoccolma per incontrare la troupe che girava il film sul suo romanzo. Qui nel grande Cimitero del Bosco, il luogo letterario perfetto, ha incontrato l’attrice che interpretava il suo personaggio, la sua Agnes, e in un attimo è nato lo spunto.
In chiusura non posso non chiedergli come ha vissuto da scrittore questi mesi di reclusione e con quali effetti sulla sua scrittura «all’inizio la mia attenzione si è concentrata sul virus. Poi è subentrata una sorta di abitudine e sono riuscito a scrivere molto bene, meglio del solito perché non ero distratto da sollecitazioni esterne.» Riflettendo sulle conseguenze della crisi mi dice che molti artisti e amici musicisti in questi mesi hanno perso tutte le loro entrate. Lui ha la fortuna di essere più sereno perché in questi anni ha potuto mettere da parte qualche riserva ma gli dispiacerebbe molto dover rinunciare alle presentazioni in programma per il prossimo autunno.
È preoccupato per il futuro signor Stamm? «Per natura sono un ottimista, d’altro canto tendo a credere che le persone non cambiano, per questo sono del parere che una volta superata la crisi tutto tornerà come prima. La domanda è quando, quanto tempo ci vorrà e questo sì, mi preoccupa».