Dove e quando
Grenzgänge – Nord-und südkoreanische Kunst aus der Sammlung Sigg, Berna, Kunstmuseum (Hodlerstr. 8-12). Orari: ma 10.00-12.00, me-do 10.00-17.00, lu chiuso. Fino al 5 settembre 2021. kunstmuseumbern.ch

Guang Tingbo
Hua Guofeng in North Korea, 1978 Öl auf Leinwand 250 x 174 cm (Foto: Sigg Collection, Mauensee © The artist)


Quel confine che dilania

Al Kunstmuseum di Berna opere dalle collezioni Sigg e Zellweger raccontano la difficoltà di vivere una frontiera come quella che divide la Corea del Sud da quella del Nord
/ 09.08.2021
di Simona Sala

In Joint Security Area del 2000, il regista sudcoreano Park Chan-wook racconta bene il dissidio interiore che dilania il popolo nord – e sudcoreano, diviso dal 1953 da una zona demilitarizzata, la cui linea di demarcazione è presidiata da una piccola missione di pace composta da dieci uomini, per metà svedesi e per metà svizzeri. «Cosa c’è che non va tra gente che ha lo stesso sangue?», si chiede a un certo punto uno dei protagonisti del film, ed è forse proprio a questo drammatico quesito che la mostra in corso al Kunstmuseum di Berna cerca di dare, se non delle risposte (anche perché l’arte, semmai, interroga), perlomeno una chiave di lettura.

Le opere esposte fino al 5 settembre in una delle più antiche istituzioni museali del Paese provengono principalmente dall’imponente Collezione di Uli Sigg, giornalista, collezionista e mecenate svizzero, che dal 1995 al 1998 operò come ambasciatore svizzero in Cina, Corea del Nord e Mongolia, e dalla Collezione di Katharina Zellweger, attiva come coordinatrice umanitaria in Corea del Nord.

Ma per tornare alla domanda iniziale, cosa succede quando un popolo viene diviso a metà, quando le madri vengono separate dai figli e i fratelli dalle sorelle? Lo rivela splendidamente l’opera scelta per rappresentare la mostra, il dittico Red35 (2017) e Red33 (2007) del sudcoreano Sea Hyun Lee, che trasuda una Sehnsucht nostalgica dal sapore quasi insanabile. Le due tavole di grandi dimensioni (200x250 cm) riproducono una porzione del paesaggio che si trova da qualche parte lungo i 250 km di frontiera che separano la Corea del Nord da quella del Sud, dove il rosso quasi accecante che regna sovrano intende da una parte rimandare alle tonalità care al socialismo, e dall’altra all’infinito sanguinante dolore della separazione.

Ben diverso l’approccio alla «diversità» e alla lontananza dai propri vicini e fratelli da parte della Corea del Nord, dove l’arte è ancora «di Stato», e alla fantasia, all’ironia e alle visioni si devono necessariamente preferire l’esaltazione del regime e dei suoi protagonisti. Le lacrime là non scorrono per la mancanza di una parte della propria identità, ma semmai per la perdita di un padre simbolico come lo è ogni Caro Leader, e lo racconta bene The Year of Shedding Bitter Tears, in cui è rappresentato un popolo distrutto dal dolore per la perdita di Kim II Sung nel 1994. Dell’opera, in origine lunga 84 metri, la Collezione Sigg possiede due frammenti realizzati da un collettivo artistico copiando l’originale.

Quando si (sor)ride, nell’arte della Corea del Nord, è solamente per celebrare ed esaltare un presente che si dipinge migliore di quanto non sia in realtà, e di un futuro che si vorrebbe ancora più roseo, come dimostra The Missiles di Pak Yong Chol (qui esposto in una replica dell’originale), dove i leader del regime si congratulano pieni di entusiasmo per quello che ai loro occhi non è solo un progresso militare, ma anche umano. I Leader, in questo caso come in molti altri esempi, assurgono a paladini della morale di un Paese di cui, forzatamente, si desidera solo mettere in luce gli aspetti presuntamente positivi.

L’ironia o il dubbio non sono tollerati, come dimostra il lavoro del collettivo artistico cinese Utopia Group (composto da Deng Dafei e He Hai), che si è inventato un fantomatico North Korea International Microfilm Festival, progetto artistico multimediale in cui il regime è rappresentato come un set cinematografico: al dittatore, dunque, il ruolo di regista, al popolo quello degli attori, obbligati a recitare all’interno di scene prestabilite. Si mette così ancora più in luce la discrepanza fra la rappresentazione del paese e la nuda e difficoltosa realtà di tutti i giorni. Un progetto  artistico ovviamente inviso a tutti quelli che nell’ironia hanno visto un affronto, e per questo hanno impedito la circolazione dell’opera, ad oggi mostrata solo parzialmente.

Quanto sia utopistico l’idillio eternamente rappresentato da questa dittatura è ben visibile anche nei poster propagandistici collezionati da Zellweger, i cui gli originali vengono realizzati ancora oggi manualmente negli atelier artistici di Stato, e poi servono da matrice per manifesti, francobolli o cartoline. Come spiega il catalogo, il regime interviene perfino sui colori, spingendo per l’utilizzo dei rossi (socialismo, passione e potere), dei blu (pace e armonia) e del giallo-oro (prosperità e gloria).

Ma, sebbene politica e storia si respirino lungo tutto il percorso espositivo, resta comunque lo spazio necessario per stupire la visitatrice o il visitatore grazie a opere che sono belle prima ancora che essere di denuncia, come gli incredibili lavori della sudcoreana Kyungah Ham. Grazie all’intercessione di alcuni intermediari cinesi, l’artista è riuscita a fare pervenire alcuni bozzetti nella Corea del Nord, dove ricamatrici e ricamatori si sono messi all’opera per realizzare grandi arazzi intorno a temi proibiti, come lo sfarzo di un candelabro luccicante o il romanticismo di una notte stellata.

Alla fine della mostra, nonostante la consapevolezza del carico di dolore che accompagna molte delle frontiere che dividono gli uomini, resta l’impressione che in qualche modo le due Coree, grazie all’arte, abbiano trovato un modo per starsi vicine e per non dimenticarsi, fosse anche solo all’interno della preziosa Collezione Sigg.