Quei sette (anzi, otto) sul banco degli imputati

Un capitolo di storia statunitense
/ 19.10.2020
di Nicola Falcinella

È su Netflix, dopo un rapidissimo passaggio nelle sale di pochi Paesi, Il processo ai Chicago 7 – The Trial of the Chicago 7 di Aaron Sorkin, seconda regia dello sceneggiatore di The West Wing, The Social Network e Steve Jobs.

Non è un caso che il film arrivi a pochi giorni dalle elezioni presidenziali americane, trattando un discusso caso politico del passato, ma volendo parlare molto dell’oggi. Il prologo della pellicola vede il discorso del presidente Johnson che annuncia l’aumento di truppe in Vietnam, con la conseguente escalation militare. Nel 1968 Johnson non si presentò nella corsa alla Casa Bianca e diverse organizzazioni contro la guerra organizzarono proteste a Chicago in occasione della Convention democratica, perché giudicavano il candidato democratico Hubert Humphrey non troppo diverso da Richard Nixon rispetto alla guerra in corso. Le manifestazioni sfociarono in scontri con la polizia per i quali, mesi dopo, la neoinsediata amministrazione repubblicana accusò i capi della contestazione e li portò davanti alla corte.

Nel 1969 si celebrò così il dibattimento che è al centro dell’opera di Sorkin: definito il contesto nel quale il nuovo procuratore generale Mitchell affida ai suoi il compito di imbastire gli addebiti, lo sceneggiatore e regista si concentra su quanto accadde in tribunale. I sette sul banco degli imputati erano in realtà otto, comprendendo anche Bobby Seale, il leader delle Pantere nere cui sono legate le scene più forti e che diventa protagonista nella parte centrale del film. Seale era l’unico in stato di detenzione, a causa di un’altra imputazione per omicidio, mentre gli altri erano stati scarcerati su cauzione, e protestava la propria estraneità essendosi trattenuto in città per poche ore.

Al centro c’è il giudice Hoffman, decisionista e pasticcione (sbaglia continuamente i nomi), che parteggia apertamente per l’accusa ed è sempre pronto a invocare l’oltraggio alla corte contro tutti gli interventi. Davanti a lui stanno gli imputati, i più caratterizzati sono l’istrionico hippy Abbie Hoffman e il kennediano Tom Hayden che diventerà deputato.

I personaggi sono affidati ad attori molto noti: Sacha Baron Cohen, Joseph Gordon-Levitt, Michael Keaton (è l’ex procuratore generale Clark che deporrà a favore degli imputati), Frank Langella (il giudice) e Mark Rylance. Gli interpreti carismatici tendono a mangiarsi un film fatto soprattutto di dialoghi brillanti e ben scritti, nello stile di Sorkin, ma diseguale: i flashback delle proteste, che mischiano immagini di repertorio e scene ricostruite, si rivelano invece un po’ deboli.

Una pellicola sull’utilizzo della giustizia a fini di ingiustizia e sul tradimento dei valori democratici americani, corretto ma non forte come vorrebbe essere.