Una delle caratteristiche delle passate edizioni del festival jazz di Chiasso era quella di proporre ai suoi spettatori un filo conduttore, un titolo tematico che riuniva i vari concerti sotto un concetto unitario. Ancora oggi gli appassionati si raccontano meraviglie dell’«edizione sulla ferrovia» o di quella dedicata a Parigi, o ancora di quella «del jazz al femminile» o «dei canguri di Monk».
La 24esima edizione appena conclusa non aveva in realtà un vero e proprio tema, composta com’era da un ampio panorama sul jazz contemporaneo svizzero e internazionale. La nostra modesta proposta è di assegnare ex-post un filo conduttore accessorio, anche solo a scopo di aiuto mnemonico, e di battezzare l’edizione 2023 come «quella dei bravi batteristi». Sono stati loro, in effetti i personaggi che più hanno impressionato per capacità e per presenza scenica: a cominciare dal più emblematico di tutti, Julian Sartorius, che è stato protagonista di due passeggiate sonore per le vie della cittadina di confine e di una solo-performance live, tenuta allo Spazio Lampo di Chiasso.
Questo laboratorio creativo, che da anni collabora con il festival, ospiterà tra l’altro fino al 10 aprile un video speciale, realizzato lo scorso anno dal batterista, in cui Julian si è filmato durante una sessione musicale di ben dieci ore, realizzata sul tetto della sua casa a Berna. Sartorius, formatosi alla scuola di jazz di Lucerna, ci è sembrato un po’ l’emblema di un nuovo modo di considerare l’esperienza jazzistica, centrandola fortemente sull’elemento ritmico, che viene esplorato e sviscerato nelle sue geometrie più complesse, combinatorie. La sua attività, che mostra una profonda preparazione tecnica, si è sviluppata su più fronti e esprime un’indubbia padronanza dello strumento ma anche una concezione musicale dove il ritmo diventa elemento ipnotico-trascendente, così come succede oggi in molta musica moderna di intrattenimento (il jazz moderno, forse, memore di quello classico, ambisce a diventare musica da ballo…).
Una raffinata ricerca ritmica si è riscontrata del resto nelle esperienze musicali di gruppi come Ikarus, esibitosi in apertura della prima serata, band svizzera dalla tecnica straordinaria guidata dal batterista Ramon Olivares, e poi anche nel gruppo della cantautrice Lucia Cadotsch (in apertura della seconda serata), in cui il lirismo delle composizioni era sostenuto con grande perizia dal batterista Fabian Rösch.
Anche la terza serata ha visto un batterista al centro della scena, seppure con minore «spigolosità» programmatica. Il gruppo di Francesco d’Auria, Lunatics 4tet, ha proposto infatti alcune sue composizioni di impianto ritmico molto più «tradizionale», ma non per questo meno raffinate.
Degne di nota anche le performance di Martin France, membro del gruppo «quasi-progressive» della trombettista inglese Yazz Ahmed, e quella del monumentale Marvin Smitty Smith, che nel trio del contrabbassista Dave Holland ha funto da utile collante tra la perfezione formale del leader e l’esuberante, fragoroso funambolismo del chitarrista Kevin Eubanks.
Questa chiave di lettura «batteristica» potrà sembrare un po’ riduttiva, ed è vero. Il contributo dato dai vari gruppi che abbiamo elencato è stato vario e stimolante. La scelta artistica degli organizzatori ha sicuramente centrato l’obiettivo di proporre un programma vario, molto «giovane», e soprattutto rappresentativo di più indirizzi stilistici. Alcuni sono sembrati più centrati di altri, ma le valutazioni sono questioni di gusto, su cui «non est disputandum». L’importante è che il quadro collettivo sia stato soddisfacente per il pubblico: e lo è stato, anche per una band priva di batterista, come il duo Omar Sosa-Paolo Fresu.
Molto bella la decorazione del palco e la trasformazione del «parterre» del teatro in una lounge dall’eleganza semplice. È stato un piacere vedere la sala ben frequentata fino alle ultime note dell’ultima band, ben oltre la mezzanotte di sabato; il jazz, insomma, ha ancora un pubblico tenace e fedele, che la pandemia non ha saputo intimidire. Un pubblico affezionato e attento come ai bei tempi: quella volta del «fiammifero nella notte» o delle «balene di Mingus».