Bibliografia
Mariantonia Avati, A una certa ora di un dato giorno, La Nave di Teseo, pp. 189.


Quegli amori impossibili

Mariantonia Avati ha dato alle stampe un’opera in cui si china sulle relazioni difficili
/ 06.07.2020
di Laura Marzi

Parlare delle proprie relazioni è un bisogno dal quale è difficile sottrarsi: non tutti lo provano allo stesso modo, certo, ma nessuno ne è esente. Ci sono persone che lo fanno spesso, lo fanno troppo, altre che dovrebbero aprirsi di più. Universale invece è la distanza tra le parole che vengono usate per descrivere la storia della propria coppia, le colpe di uno e le angosce dell’altra, e la verità.

Mariantonia Avati autrice del romanzo A una certa ora di un dato giorno edito da La nave di Teseo fa esattamente questo: racconta ai suoi lettori per filo e per segno la storia della relazione matrimoniale di Emma con Luca. Dal primo momento in cui si sono rivolti la parola, dopo mesi che avevano lavorato sullo stesso cantiere e pur piacendosi si erano sostanzialmente evitati, fino agli ultimi momenti insieme.

La sua narrazione è coinvolgente e denota una certa abilità visto che nonostante tutto il romanzo sia costruito a partire dal punto di vista della protagonista, come se si trattasse di una lunghissima confessione, il desiderio di continuare nella lettura non si affievolisce. O forse a rendere interessante il romanzo non è tanto o almeno non è solo il talento dell’autrice, è la verità che racconta.

In particolare è vero l’incastro che può crearsi tra una donna che ha dovuto attraversare delle difficoltà e ce l’ha fatta, perché è nata con la tempra adeguata, perché ha imparato a resistere, e un uomo che si è abbandonato via via alle sue debolezze e quindi all’aggressività. Un incastro che la vulgata comune rinvia alla famigerata sindrome della crocerossina, che non è un’espressione fastidiosa come in generale lo sono i luoghi comuni, è una vera bugia.

Avati mostra con molta chiarezza come Emma, nella sua capacità di resistere all’orrore delle parole che le rivolge Luca, alle ferite che lui le infligge, al dolore fisico e alla tensione, perché qualsiasi cosa potrebbe scatenare un litigio mostruoso, è anch’essa fragilissima.

Delle donne che resistono nelle storie più disperate con uomini che hanno evidenti incapacità relazionali o vere e proprie patologie psichiche viene spesso taciuto il bisogno evidente che esse hanno che l’altro metta in atto la debolezza che le abita, ma che loro hanno rimosso. Come i veri tabagisti che quando smettono di fumare amano guardare gli altri che lo fanno, sentirsi arrivare addosso il fumo della sigaretta. Emma dice: “lo giudicavo meno di me, è vero, meno acuto, meno disponibile, meno curioso, meno capace di andare oltre l’evidenza, meno generoso, meno sensibile […] Nonostante fossi consapevole delle mille cose che non mi piacevano, avevo bisogno di quell’accozzaglia per stare bene”.

Non a caso, alle donne che si trovano in relazioni di grande sofferenza, come Emma, viene chiesta a furor di popolo un’ulteriore prova di forza: liberarsi dal proprio carnefice, sottrarsi alle dinamiche infernali. Si tratta indubbiamente dell’unica cosa giusta da fare, ma presuppone esattamente la dimenticanza o meglio la negazione che per chi si trova in quelle situazioni, per chi sceglie di avere affianco un uomo profondamente debole, lesivo e autolesionista molto spesso l’unica forza possibile è quella di resistere: resistere accanto a quell’uomo e a quella di parte di sé sofferente, sbagliata, che è stata negata, soffocata, perché era necessario andare avanti.

Nel caso di Emma si tratta della bambina col cappello di paglia che compare nelle prime pagine del romanzo, della prima figlia di due genitori spesso distanti a causa del lavoro e dei tradimenti di lui, dell’adolescente che ha visto il proprio padre uscire di casa, senza mai fare ritorno, neanche come corpo morto.

Il romanzo di Avati ci racconta allora qualcosa che non è facile sentire dire in giro: che la tenerezza verso se stesse e l’altro è sottovalutata e che quando si è imparato per sopravvivere a dimenticarsi di sé, si diventa come costrette a ricordarsi troppo e ossessivamente dell’altro.