Quando si dice trovare l’America

Alla ConsArc di Chiasso le foto di Herbert Matter, uno svizzero che visse una vita fuori dagli schemi nel nome della fotografia e della grafica
/ 06.07.2020
di Giovanni Medolago

Herbert Matter (1907-1984) nasce a Engelberg, nel cuore delle Alpi svizzere e già allora rinomato centro turistico, soprattutto grazie all’imponente presenza del Titlis (3238 m). Respira sin da piccolo l’aria di élite internazionale, senza però alcuna intenzione di buttarsi nel settore alberghiero o di diventare maestro di sci. Raggiunti i 18 anni se ne va a Ginevra, dove frequenta l’Ecole des Beaux Arts, ma il richiamo di Parigi (di cui è superfluo ricordare l’importanza culturale, all’epoca) è troppo forte: eccolo allievo di Fernand Léger in un periodo in cui il design grafico era in piena espansione.

Probabilmente influenzato da Man Ray, tuttavia, comincia a interessarsi anche di fotografia. Il lavoro non gli manca, ma nel 1932 viene espulso dalla Francia per una traversia burocratica. Trova un importante committente nell’Ufficio del Turismo svizzero e realizza una serie di manifesti ricordati ancora oggi per l’audacia di composizioni dove riesce a unire «l’intensità di Cassadre (importante pubblicitario/grafico/litografo/tipografo parigino, n.d.r.) alla perfezione geometrica di Le Courbusier».

Nel 1936 la curiosa svolta che segnerà la sua vita e la sua avventura artistica: un committente, invece di pagarlo in contanti, gli offre il biglietto per un viaggio negli Stati Uniti. Accetta obtorto collo (non sa una parola d’inglese), ma rimane così affascinato da New York che decide di prolungare il suo soggiorno negli States. In poco tempo, per lui l’American Dream si trasforma in realtà: s’intrufola nella redazione di «Harper’s Bazaar», si fa notare dalla Condé Nast (casa editrice che pubblica «Vogue», «Vanity Fair» e, tra l’altro, il «New Yorker»), ma soprattutto diventa consulente dalla Knoll, lanciatissima azienda di prodotti design – la sua sedia tulipano è tuttora un bestseller evergreen, di cui curerà sia l’immagine sia l’impostazione grafica dei cataloghi.

Gli incarichi prestigiosi per Matter si moltiplicano: diventa insegnante a Yale, è chiamato al Guggenheim Museum per realizzare i cataloghi delle mostre sulla Quinta Strada e il Moma gli chiede addirittura di girare un film su vita e opere del suo amico Alexander Calder (colonna sonora di John Cage). Sulla scena newyorkese «dava del tu» anche a personalità come Jackson Pollock e Willem de Kooning. Il suo artista-amico di gran lunga preferito, tuttavia, era Alberto Giacometti (v. articolo pag. 35 n.d.r.): a lui e alle sue sculture dedicò infatti ben 25 anni, sicché il suo libro sull’artista bregagliotto uscì postumo, parecchi anni dopo la scomparsa di Giacometti!

Matter mise il suo talento al servizio di fotografia (moda, ritratti, street view, immagini astratte), grafica (celebri quelle lettere «NH» da lui schizzate per «riassumere» la tratta ferroviaria NY-New Haven) e collages (alcuni dei quali sembrano altrettanti omaggi al costruttivismo di Alexander Rodcenko). La mostra che la galleria chiassese Cons Arc gli sta dedicando non a caso si intitola Foto/grafica e, accanto al «solito» magnifico allestimento, ci offre altresì l’occasione di gustare sia la precisione tutta elvetica di ogni scatto di Matter, sia di scoprire la vena ironica dell’autore obwaldese: pensiamo qui alla Venere di Milo che per l’occasione ha le sinuosità di un intrecciatissimo pane all’olio! Non mancano infine escursioni nell’astrattismo (Ritratto d’una macchia d’inchiostro) o in quelle «Nature morte» che saranno certo piaciute a Irving Penn.