«Andare oltre per Marco D’Anna vuol dire mettere a disposizione tutta la sua creatività per poter superare la semplice immagine tecnica»: un’annotazione di Pierre Casè datata 2008. Da allora il fotografo è andato oltre in parecchie occasioni e su diversi livelli. La ricerca su Corto Maltese e i luoghi delle sue avventure, in compagnia dello scrittore Marco Steiner, l’ha portato davvero ai quattro angoli del mondo (si fa prima a dire dove non è stato!); e un lavoro sulla cecità – oltretutto realizzato in una delle zone più povere del mondo come la Mauritania – l’ha spinto oltre le pur innumerevoli emozioni che ha vissuto in ormai più di trent’anni di carriera.
La sua fama è andata oltre i confini nazionali: D’Anna ha lavorato per esempio per la «Franco Maria Ricci», perla preziosa nell’editoria d’arte. Del resto, il concetto oltre rientra anche tra le pieghe della sua risposta, quando gli si chiede una possibile definizione di arte: «Non deve limitarsi a descrivere la realtà! Il ruolo dell’opera d’arte è quello di scardinare il reale. L’arte deve dare una seconda visione e attraverso la sua poetica dovrebbe condensare tutte le esperienze in un’unica riflessione».
Non è un caso allora («Il caso non esiste!» diceva deciso il grande René Burri al suo allievo e poi amico D’Anna) che s’intitoli proprio Oltre la mostra monografica aperta alla Galleria Buchmann nei suoi spazi di Agra. Nella prima sala, protagonista assoluta è una silhouette, l’ombra di una figura umana anziana e indifesa. Da che cosa? Dallo scorrere inesorabile del tempo, dagli acciacchi fisici (che almeno in un’occasione la costringono a ripiegarsi su sé stessa mettendosi le mani nei capelli), e dall’inquietudine che nasce dalla consapevolezza d’essere in procinto d’andare oltre, verso un ignoto che – si sia credenti o meno – rappresenta motivo di grave ambascia.
Nelle fotografie di grande formato (159x109), la figura è evanescente, sfuocata e la particolare tecnica della retroilluminazione rende i suoi magri arti, se possibile, ancora più fragili. Si possono cogliere riferimenti all’essenzialità di Alberto Giacometti o alla disperazione di Munch, ma nelle due ultime immagini ecco che qualcosa si rasserena: dapprima l’ombra sembra salutare educatamente quanto ironicamente; poi eccola incamminarsi, decisa e con ritrovata agilità. Anzi, la foto può ricordare il celebre clic col quale Henri Cartier Bresson colse il suo amico Raymond Queneau impegnato con un balzo a superare una pozzanghera. Chiara la metafora: seppur malfermo in salute e conscio d’aver già vissuto gran parte della sua avventura terrena, l’Uomo non può fermarsi mai, schiavo dello scorrere del tempo. Senza rassegnarsi, al contrario con ritrovata baldanza, continuerà a camminare, ad andare oltre.
È una fotografia di dimensioni diciamo normali (che stavolta riecheggia i celebri tagli di Lucio Fontana) a introdurci nella seconda sala, dove altre immagini dello stesso grande formato delle precedenti spostano l’attenzione del visitatore dall’essere umano alla natura. Sono infatti foglie, fiori e tralci di vite ad aver suscitato l’interesse di Marco D’Anna, dopo che l’artista si è imbattuto nel mito di Oresteo.
Figlio di Deucalione e di Pirra (gli unici sopravvissuti al diluvio universale), Oresteo assisteva la sua cagna che partorì un palo. Superato il comprensibile smarrimento, Oresteo piantò il palo nel terreno e lo vide poi germogliare, per diventare la prima pianta di vite. L’epilogo del mito racconta che la cagna divenne Sirio, la stella che fa maturare l’uva. Quindi l’origine della vite è collocata ai tempi mitici degli inizi di una nuova generazione che cominciò a ripopolare la Terra dopo il diluvio. E stavolta le immagini sono così nitide (incredibile il pistillo del fiore di pochi millimetri «sparato» in una foto gigantesca) da permetterci di scoprire il profilo di una Madonna su un tralcio o un mascherone in una foglia rinsecchita.
«Attraverso la natura, alla quale siamo inscindibilmente legati – spiega il fotografo – la visione ritorna vista e il tronco diventa l’incarnazione della forza e dell’esperienza, mentre il fiore rinasce oltre. Bianco e nero, morte e rinascita, luce e ombra, visione e vista, corporeo e incorporeo: sono molteplici polarità che si manifestano in spinte visive contrapposte che fanno parte di tutto il nostro universo».
Come un moderno sofista, Marco D’Anna ci presenta la sua visione della realtà, che grazie alla creatività si dilata sino a sfociare nel simbolico: aveva ragione Pierre Casè!