Bibliografia
Massimo Gezzi, Le stelle vicine, Bollati Boringhieri, 2021


Quando le stelle sono vicine

Massimo Gezzi ha dato alle stampe una raccolta di racconti in cui si sente la vicinanza del cielo, e dunque anche della vita
/ 23.08.2021
di Roberto Falconi

Mi pare che con l’esordio narrativo de Le stelle vicine Massimo Gezzi, sin qui noto soprattutto come poeta e saggista, abbia prima di tutto scritto un diario. E questo non tanto nell’accezione di «affresco» (o, peggio, di «testimonianza») di un’epoca o di una generazione, ma nel senso profondo di un testo finemente lavorato (e quindi nobilmente letterario) in cui possa prendere forma la necessità di riflettere sul proprio posto nel mondo da parte di uno scrittore (e di un uomo: Gezzi è nato nel 1976) giunto alla sua piena maturità. Mi è sembrato cioè di avvertire, nei dodici pezzi che compongono la raccolta, la voce di chi ha raggiunto una soglia; la consapevolezza di chi ha alle spalle una memoria che non è (più) un inerte serbatoio di ricordi, bensì lo spazio da cui muovere per la costruzione delle proprie (dis)illusioni e della propria visione delle cose.

Credo che sia per questo che l’autore insista tanto su motivi e situazioni che icasticamente fissano l’idea della fragilità. A cominciare dalla morte, solo sfiorata da racconti che si chiudono quasi sempre un istante prima della tragedia, come nel caso dell’imprenditore in crisi che decide, in una notte limpida, dalle «stelle vicine», di dare fuoco alla propria fabbrica: ci riesce, ma qualcosa va storto durante la fuga dal rogo. O la solitudine dell’infermiera che fa il turno di notte: finché si deve occupare del paziente ricoverato per un’emorragia cerebrale, non è difficile indossare la maschera che tutti, pirandellianamente, mostriamo in pubblico. Ma nello stanzino della televisione, quando è davvero sola, non può non pensare alla figlia che studia lontano, e che non risponde al messaggino Buon fine settimana. Un bacio Mami. È normale, si dice la donna: in fondo è venerdì sera e a Bologna c’è di meglio da fare. Poi però sente la moglie di quel paziente, una donna bellissima che aveva sin lì accudito senza sosta il marito, uscire dalla stanza per parlare al cellulare con un altro uomo. E quella notte (forse) prende un’altra strada.

Nel racconto che chiude il libro una ragazza figlia di circensi arriva nella terza media di Mauro. Ma resterà solo per una settimana, perché tutto finisce: lo spettacolo dei trapezisti, il tendone, così come forse è finita la famiglia di Mauro, a cui quella ragazza bruttina, che però «ha qualcosa di diverso, dentro, di caldo», lascia tuttavia un dono speciale prima di partire. Un rito di iniziazione che vive anche il ragazzo protagonista de Un rettangolo di sole: una partita a calcetto in una giornata assolata, gli amici che arrivano in motorino con le pizze da asporto. Ma basta poco perché tutto cambi e si prenda coscienza dell’impermanenza delle cose.

Una provvisorietà che Gezzi riesce a fissare (e sembra quasi un ossimoro) anche grazie a una serie di costanti tematiche e formali variamente declinate; attraverso, cioè, l’introduzione di elementi dissonanti all’interno di situazioni ricorrenti. Valga, su tutti, il motivo della scuola, toccato da un terzo dei racconti (l’autore è anche insegnante), ma sempre con sensibilità diverse: lo sguardo di un docente malato sulla propria classe; ma anche quello di un allievo che non racconta la verità nel tema di rientro dalle vacanze. O gli incidenti stradali, quegli attimi in cui tutto può cambiare per sempre: non solo quando se ne è vittima, ma anche quando la morte si dilata nelle conseguenze che deve affrontare l’investitore, specie nel caso in cui abbia completamente rimosso l’accaduto, come se nulla fosse successo.

Non a caso, inoltre, molti racconti sono costruiti come delle scatole cinesi, nelle quali l’elemento focale è replicato in una sorta di gioco di specchi: è il caso, tra gli altri, del pezzo d’apertura, in cui l’esito imprevedibile di una tipica serata degli anni Novanta al bar sta già tutto nella crudeltà con cui la pallina del flipper non sempre segue le traiettorie desiderate dal giocatore.

Gezzi è abile anche nel variare, oltre allo stile (tra e nei racconti), i punti di vista e le focalizzazioni: dalla terza persona con cui, in un crescendo di tensione, è indagata la condizione di una donna che si crede vittima di uno stalker, alla prima persona, ma variamente modulata, degli altri nove racconti. Così a parlare sono anche personaggi apparentemente laterali, come nel caso della ragazza che assiste alla lite tra un bullo e il controllore dell’autobus che sfocia in una violenza cieca. E anche quando sono i protagonisti a esprimersi, l’autore sa costruire sguardi sghembi sulla realtà, come quello di una donna vittima di una malattia degenerativa che parla con Cattivik.

Infine, e mi pare davvero il dato più significativo, la silloge è costruita sulla relazione dialettica tra la sostanziale compiutezza dei singoli pezzi e gli spazi bianchi che li separano, a mimare, anche nei suoi aspetti più profondamente strutturali, il sentimento di fragilità su cui si regge il libro. E le nostre vite.