Dove e quando
Gianfranco Zappettini. Primae Noctis Art Gallery, Lugano. Fino al 15 febbraio 2017. Orari: da lu a ve 10.00-18.00, sa su appuntamento. www.primaenoctis.com


Quando la pittura indaga se stessa

Alla Galleria Primae Noctis di Lugano le opere di Gianfranco Zappettini
/ 30.01.2017
di Alessia Brughera

Quella che viene chiamata Pittura Analitica, definizione intercambiabile con Pittura Pittura, Nuova Pittura o Astrazione Analitica, non è stata un vero e proprio movimento artistico. Si è trattato più che altro di un sentire comune, di una tendenza, sviluppatasi negli anni Settanta, nata dalla volontà di salvaguardare la disciplina pittorica come mezzo espressivo, reagendo alla diffusa propensione a considerarla ormai obsoleta. In un momento in cui da più parti la ricerca si stava difatti orientando verso strumenti alternativi a quelli tradizionali, secondo i precetti sostenuti dalle correnti concettuali, alcuni artisti scelgono invece di rimanere fedeli alla pittura e di concentrare il loro linguaggio sulla sua sostanza fenomenica, cioè il colore, la tela e il telaio.

A interessarli sono il processo creativo e la fisicità del fare. L’obiettivo è quello di affrancare la pittura da significati sottesi e dal legame con la realtà per renderla oggetto d’indagine di se stessa: alla base c’è l’analisi delle sue componenti materiali e del rapporto che intercorre fra l’opera concreta e il suo autore.

Le prime prove di Pittura Analitica si hanno in Europa e negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni Sessanta, ma la vera affermazione arriva dopo il 1970. Sono ricerche che riconoscono il proprio debito nei confronti dell’Astrattismo storico, soprattutto di Piet Mondrian, e dell’Espressionismo astratto americano di Rothko, Newman e Ad Reinhardt.

In ambito francese, ad esempio, esplorano una nuova ragion d’essere della pittura artisti quali Daniel Buren, Niele Toroni o Michel Parmentier, in America condividono i medesimi intenti Robert Ryman, Brice Marden o Robert Mangold. Questa tendenza ad affrontare i fondamenti del «fare pittura» trova terreno fertile anche in Italia nel lavoro di una nutrita compagine di artisti che ha i suoi precursori nelle figure di Rodolfo Aricò e Mario Nigro.

Tra i principali esponenti del variegato gruppo di italiani sensibili a questa tematica di rinnovamento spicca il nome di Gianfranco Zappettini, il cui interesse si è indirizzato fin dagli esordi verso una pittura intesa come linguaggio autonomo che può manifestarsi solo a partire da una riflessione sui suoi elementi primari, da una sorta di «grado zero» che diventa condizione necessaria per la sua rinascita.

Una mostra alla Galleria Primae Noctis di Lugano presenta alcuni lavori di questo artista che ha contribuito in maniera determinante con le sue opere, ma anche con i suoi scritti teorici, alla ridefinizione della forma espressiva pittorica.

Zappettini nasce a Genova nel 1939 ed è nel fermento culturale del capoluogo ligure degli anni Sessanta che muove i suoi primi passi, a cominciare dalla preziosa frequentazione dell’architetto tedesco Konrad Wachsmann, allievo di Walter Gropius, da cui assimila quella pulizia formale, quell’ordine e quel senso dell’equilibrio che sono alla base della sua cifra stilistica.

Per Zappettini il confronto tra la propria ricerca e quella dei colleghi che con lui spartiscono aspirazioni e propositi è continuo, con uno sguardo particolare rivolto all’ambiente artistico tedesco e olandese, a cui si sente più affine.

Quando nel 1971 viene invitato a esporre al Westfälischer Kunstverein di Münster nella collettiva «Arte Concreta in Italia», curata dal critico Klaus Honnef, è già ravvisabile nei suoi dipinti l’esigenza di sondare la pittura condensandola ai minimi termini.

Nascono così, nel 1973, i suoi quadri «bianchi», in cui su una tela tinteggiata di nero applica con un rullo da imbianchino una serie di mani di acrilico bianco fino a nascondere completamente il colore di partenza. L’idea è quella di presentare la pittura come puro lavoro e meticoloso studio delle sue strutture.

Di poco successive sono le «tele sovrapposte», opere con cui Zappettini prosegue la sua prassi di annullamento della pittura nel procedimento creativo. Qui, nell’aggiunta degli strati di tela, un quadrato riempito di grafite 2b si riduce a semplice contorno a matita di un campo vuoto.

Accanto ad alcuni lavori di quegli anni di assidua indagine, la mostra luganese raccoglie un più consistente nucleo di dipinti di recente realizzazione, esiti di un percorso che ha visto l’artista avvicinarsi alle dottrine orientali e trarre ispirazione dalla metafisica per intraprendere un cammino spirituale di ritorno alle proprie radici.

Il ciclo di opere degli anni Duemila è espressione della maturazione interiore dell’artista e del suo bisogno di armonia. In questa serie dall’emblematico titolo La trama e l’ordito, Zappettini riscopre la tradizione dell’arte del macramè, caratteristica della sua terra ligure, creando dipinti che richiamano gli eleganti intrecci ornamentali di quel tipo di ricamo per farne il mezzo con cui ordinare il caos della materia. La superficie pittorica viene trattata come un tessuto, diventando uno spazio che accoglie colori intensi dalle forti valenze simboliche – il rosso della conoscenza e della passione, il blu del silenzio – e che si fa rifugio di un’anima che ha imparato ad abbandonarsi completamente all’euritmia del cosmo.