Una lingua rispecchia la società che la parla? Partiamo anzitutto dal concetto di società. Di «società liquida», per la precisione, nella definizione coniata da Zygmunt Bauman e ormai diventata famosissima. È azzardato estrapolare solo uno degli aspetti di questa teoria, ma è quella che ora può fare al caso nostro. Il filosofo e sociologo polacco ha teorizzato l’idea di un mondo globale in cui tutto è mutevole e provvisorio: «liquido», appunto.
Lasciamo per ora le riflessioni sociologiche, passiamo alla lingua e iniziamo da un esempio concreto da manuale di grammatica. «Se la maestra mi chiedesse oggi se sono felice, le risponderei senza alcuna esitazione; sarebbe davvero bello incontrare di nuovo, dopo anni, i miei compagni di scuola e fare loro la stessa domanda». Frase corretta. Eppure oggi qualcuno potrebbe guardarvi male e rimproverarvi: «ma come parli?!»
Difficile dire esattamente quando sia successo, però è successo. L’italiano contemporaneo non storce ormai quasi più il naso di fronte alla stessa frase formulata in questo modo: «se la maestra mi chiedesse se sono felice, gli risponderei […]; sarebbe bello incontrare di nuovo i miei compagni e fargli la stessa domanda». L’uso per il complemento di termine del pronome gli con riferimento plurale (loro) è oggi chiaramente accettato a quasi tutti i livelli della lingua italiana. Attenzione: non è una tendenza, è ormai una certezza. Gli al posto del pronome femminile le è sì ancora oggi guardato un po’ con sospetto, ma sembra che ormai fra parlanti nessuno rischi più il linciaggio di fronte a questa scelta. Si tratta di un’evoluzione ormai tollerata a quasi tutti i livelli dell’italiano. Per quanto riguarda loro/gli, anche Accademia della Crusca e Treccani se ne sono fatti una ragione; si mostrano invece un poco più prudenti per le/gli, e infatti raccomandano ancora di seguire le regole delle grammatiche ufficiali.
Chi fatica ad accettare l’evidenza su questo fronte – questa violazione della regola diventata a sua volta ormai una norma – potrebbe sfoderare l’argomento dell’ambiguità: il pronome loro è inequivocabilmente plurale, le è indiscutibilmente femminile, mentre gli diventa il classico coperchio per tante pentole. Subito, però, i fautori di questa modernità linguistica ribattono con una serie di motivazioni: che gli è decisamente meno pesante di (a) loro e molto pratico grazie alla sua natura di forma atona; che già si usano da tempo glielo e gliene anche per il plurale senza che nessuno si dica indignato; che infine nella storia della lingua italiana non sono rari gli esempi letterari, da Boccaccio a Manzoni.
Il fenomeno linguistico di cui ci stiamo occupando qui è citato fra le manifestazioni più appariscenti dell’italiano neostandard (secondo la definizione di Gaetano Berruto) o italiano dell’uso medio (come presentato da Francesco Sabatini): è l’italiano parlato ogni giorno, anche dalle persone colte come pure dai media, molto pratico e comunicativo, pronto a evolvere più velocemente della norma.
Contro questa flessibilità della lingua, soprattutto dell’italiano medio parlato e di riflesso non di rado anche scritto, è oramai giusto non incaponirsi: così è, se vi pare. Del resto la lingua – almeno in parte – rispecchia la società, ed eccoci dunque di ritorno alla «società liquida» di Bauman, in cui i confini e i riferimenti si perdono, tutto diventa labile. Verrebbe da chiedersi, sull’onda del pensiero baumaniano: parliamo un italiano «liquido»?