Quando la lingua diventa «liquida»

L’italiano si sta adeguando a una società mutevole. Un esempio: il pronome personale gli è diventato multifunzionale
/ 05.07.2021
di Laila Meroni Petrantoni

Una lingua rispecchia la società che la parla? Partiamo anzitutto dal concetto di società. Di «società liquida», per la precisione, nella definizione coniata da Zygmunt Bauman e ormai diventata famosissima. È azzardato estrapolare solo uno degli aspetti di questa teoria, ma è quella che ora può fare al caso nostro. Il filosofo e sociologo polacco ha teorizzato l’idea di un mondo globale in cui tutto è mutevole e provvisorio: «liquido», appunto.

Lasciamo per ora le riflessioni sociologiche, passiamo alla lingua e iniziamo da un esempio concreto da manuale di grammatica. «Se la maestra mi chiedesse oggi se sono felice, le risponderei senza alcuna esitazione; sarebbe davvero bello incontrare di nuovo, dopo anni, i miei compagni di scuola e fare loro la stessa domanda». Frase corretta. Eppure oggi qualcuno potrebbe guardarvi male e rimproverarvi: «ma come parli?!»

Difficile dire esattamente quando sia successo, però è successo. L’italiano contemporaneo non storce ormai quasi più il naso di fronte alla stessa frase formulata in questo modo: «se la maestra mi chiedesse se sono felice, gli risponderei […]; sarebbe bello incontrare di nuovo i miei compagni e fargli la stessa domanda». L’uso per il complemento di termine del pronome gli con riferimento plurale (loro) è oggi chiaramente accettato a quasi tutti i livelli della lingua italiana. Attenzione: non è una tendenza, è ormai una certezza. Gli al posto del pronome femminile le è sì ancora oggi guardato un po’ con sospetto, ma sembra che ormai fra parlanti nessuno rischi più il linciaggio di fronte a questa scelta. Si tratta di un’evoluzione ormai tollerata a quasi tutti i livelli dell’italiano. Per quanto riguarda loro/gli, anche Accademia della Crusca e Treccani se ne sono fatti una ragione; si mostrano invece un poco più prudenti per le/gli, e infatti raccomandano ancora di seguire le regole delle grammatiche ufficiali.

Chi fatica ad accettare l’evidenza su questo fronte – questa violazione della regola diventata a sua volta ormai una norma – potrebbe sfoderare l’argomento dell’ambiguità: il pronome loro è inequivocabilmente plurale, le è indiscutibilmente femminile, mentre gli diventa il classico coperchio per tante pentole. Subito, però, i fautori di questa modernità linguistica ribattono con una serie di motivazioni: che gli è decisamente meno pesante di (a) loro e molto pratico grazie alla sua natura di forma atona; che già si usano da tempo glielo e gliene anche per il plurale senza che nessuno si dica indignato; che infine nella storia della lingua italiana non sono rari gli esempi letterari, da Boccaccio a Manzoni.

Il fenomeno linguistico di cui ci stiamo occupando qui è citato fra le manifestazioni più appariscenti dell’italiano neostandard (secondo la definizione di Gaetano Berruto) o italiano dell’uso medio (come presentato da Francesco Sabatini): è l’italiano parlato ogni giorno, anche dalle persone colte come pure dai media, molto pratico e comunicativo, pronto a evolvere più velocemente della norma.

Contro questa flessibilità della lingua, soprattutto dell’italiano medio parlato e di riflesso non di rado anche scritto, è oramai giusto non incaponirsi: così è, se vi pare. Del resto la lingua – almeno in parte – rispecchia la società, ed eccoci dunque di ritorno alla «società liquida» di Bauman, in cui i confini e i riferimenti si perdono, tutto diventa labile. Verrebbe da chiedersi, sull’onda del pensiero baumaniano: parliamo un italiano «liquido»?